La pornografia è una delle più grandi ipocrisie della nostra società. Il sito di statistiche Top Ten Reviews sostiene che il 25% di tutte le ricerche su internet riguarda materiale pornografico (e fornisce molti altri dati interessanti1). Si calcola poi che i visitatori mensili di siti porno siano 450 milioni, più di Twitter, Amazon e Netflix messi insieme. Ma mentre parliamo quotidianamente delle serie tv di Netflix, il porno rimane un argomento tabù. Può scappare una battuta su quanto è figa Sasha Grey, ma sempre accolta con un po’ di imbarazzo e senza mai soffermarsi troppo sull’argomento.
Questo perché, oltre che osceno, il porno è considerato anche immorale, al punto che lo scrittore premio Nobel Coetzee si spinge ad affermare: «la pornografia è immorale da tutti i punti di vista; si può persino sostenere che, nella misura in cui celebra un universo chiuso di sfruttamento del debole da parte del forte, coincide con il male»2. Sembra esagerato dire che Pornhub sia una manifestazione del male, ma è un’affermazione coerente con l’idea, largamente diffusa e condivisa, secondo cui il porno umilia e reifica la figura femminile: nella pornografia cioè le donne sarebbero considerate solo oggetti sessuali e gli uomini che guardano video porno imparerebbero a considerare le donne reali allo stesso modo.
Personalmente però non ho mai capito perché la pornografia dovrebbe trasformare in oggetto soltanto la donna. Posso capire chi sostiene che il porno dia un’immagine della sessualità degradante e stereotipata, che il sesso sia un’altra cosa rispetto a quella mostrata in video, ma perché il porno dovrebbe reificare esclusivamente la donna? Sia l’uomo che la donna vengono trasformati in corpi nudi, che ricevono e danno piacere. Quindi entrambi sono allo stesso tempo oggetti e soggetti sessuali. Come sostiene Simone Regazzoni nell’interessante Pornosophia: «l’idea di donna-oggetto è l’emblema di un pericoloso dogmatismo che vuole mantenere le donne nella condizione di vittime da salvare»3. Ma le donne possono invece trasformarsi in soggetti che godono di un filmato porno e in generale hanno un approccio disinibito e attivo verso la sessualità.
La concezione della donna umiliata dalla pornografia nasce anche dal pregiudizio che il porno sia un mondo esclusivamente maschile. Ma in realtà anche le donne guardano filmati hard (secondo Top Ten Rewiews un terzo dei consumatori totali). E cosa dire poi di quelle donne che nell’industria pornografica ci lavorano liberamente, alcune dicono volentieri? O peggio ancora, delle tante attiviste e filosofe femministe che difendono la pornografia (Nadine Strossen, per citare una delle più note)?
Michela Marzano, da sempre in prima linea nella battaglia contro il porno, non esita a dire che queste donne «amano farsi trattare come degli oggetti sessuali, come delle puttane [salopes]»4. È significativo che un’autrice che sbandiera il proprio femminismo dia delle puttane a delle altre donne, ree di avere una visione della figura femminile differente dalla sua. A mio parere Marzano, anche altrove nelle sue opere, difende una concezione della donna tradizionalista e in fondo maschilista: quella di una donna fragile e bisognosa della protezione e della tenerezza maschile, che di fronte a un video porno non può che sentirsi umiliata.
Ma perché la donna deve essere per forza vittima della pornografia e non può invece esserne fruitrice libera o consapevole (libera naturalmente anche di rifiutare il porno perché non le interessa)? Come chiarisce con efficacia Pat Califa, che ha dedicato alla pornografia e alla sessualità diversi scritti, «il movimento antiporno sposa una visione tradizionale della sessualità femminile, compresa l’idea che le donne non si godano la pornografia, il sesso casuale, oppure il sesso al di fuori di una relazione romantica»5. Personalmente trovo che quest’immagine della donna intimorita dalla sessualità e dalla pornografia, puttana se osa affermare di eccitarsi con un video hard, sia per le donne molto più pericolosa della pornografia stessa.
Lorenzo Gineprini
NOTE:
1. Link
2. J.M. Coetzee, Pornografia e censura, Donzelli, Roma, 1996
3. S. Regazzoni, Pornosophia, Ponte alle Grazie, Firenze, 2010
4. Ivi
5. Ivi
[immagine tratta da Google Immagini]