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Maria Callas: soprano drammatico d’agilità

 

 “Vissi d’arte, vissi d’amore”. (1)

L’aria di Tosca che Maria Callas prediligeva fra tutte quelle cantate.

Artista e Donna, emotività e genio: un chiasmo che la disegna completamente. Sarebbe difficile raccontarla attraverso una storia scritta e riscritta mille volte, ancor più difficile darle un ruolo nella vita o una definizione. Nel panorama della lirica c’è un prima e un dopo Callas (2) ; nella storia del ‘900 c’è soltanto la Divina.

Maria Callas non si esibiva soltanto per il mondo intero, semplicemente donava tutta se stessa. Tanto costante e determinata nella sua passione, quanto poco dominatrice delle sue emozioni: quanto una Donna è tale più che nel momento in cui dona la sua stessa essenza? Nessun soprano è mai più riuscita ad eguagliarla, nessun altro ha reso le arie della lirica alla portata delle persone quanto abbia fatto lei. Nel mondo di oggi il melodramma è poco conosciuto e andare all’opera è concepito come un’occasione per annoiarsi.

Come riuscì Lei a portare stralci di lirica anche in coloro che non ne conoscevano assolutamente nulla?

La parola chiave non è altro che emozione. E’ l’umanità che emoziona. E’ la femminilità che affascina. E’ il fatto che fosse capace di portare ciò che aveva dentro in tutta la sua voce. Le gioie si espandevano in perfetti acuti. I dolori non le lasciavano tregua nelle scene più tristi. Non era soltanto Tosca a perdere Cavaradossi, era Maria Callas a perdere di nuovo l’amore: probabilmente in quell’attimo davanti a lei si proiettavano le notti insonni, le ferite mai rimarginate, il respiro che manca quando non ti senti amata. Perché non si amò mai, la Divina, prima ancora di non sentirsi mai amata completamente.

Un’infanzia da enfant prodige ed una madre che esibisce più che crescere: non c’era spazio per la piccola Maria, ma solo per quella voce che faceva fermare gli automobilisti che la udivano riecheggiare per le strade.   Togliere ad un bambino la spensieratezza significa privarlo di un lato che si ritroverà a rincorrere per tutta la vita. E lei era cresciuta in fretta, forse troppo. Tecnica, esibizioni, ore ed ore senza mai tregua. Determinazione e perseveranza, ma anche rassegnazione e incapacità di volare. Diventò grande senza essere capace di piacersi, diventò una ragazza che nel suo aspetto riversava il suo dolore.

Maria Callas era dotata non soltanto di un’unica, ma piuttosto di tre voci, grazie alla sua estensione vocale. Veniva definita “soprano drammatico d’agilità”; un’espressione coniata appositamente per Lei nel 1949, quando interpretò Brunilde ne “La Valchiria” ed Elvira ne “I Puritani”, ruoli tanto difficili quanto distanti. (3) (4) Unire nella propria voce pienezza, coloritura e durata nel timbro grave a flessibilità ed estensione nel registro acuto sono doti uniche, appartenenti ad una professionalità mossa da una predisposizione innata. E allo stesso modo si potrebbe definire la sensazione che si poteva provare ascoltandola: una sensazione mai provata, nasceva dentro per non morire mai. Gli anni dal ’52 al ’54 furono gli anni della consacrazione; anni in cui interpretò ben sette opere, anni in cui perse addirittura ventotto chili.

Da goffa ragazza ad icona di eleganza: eppure, l’unica cosa veramente potente dentro di sé, rimaneva la sua inimitabile voce.

La continua crescita professionale, infatti, si poneva in contrasto con la mancanza di soddisfazione nella sfera affettiva. Donna prima ancora di diventare Diva, Maria Callas conobbe l’amore sotto ogni sua sfaccettatura. Quello rassicurante di Meneghini, grazie a cui ebbe la chiave per credere nelle sue capacità di artista. Quello folle per Aristotele Onassis, che fu l’unico uomo a scombinarle l’esistenza. L’unico che riuscì a raffigurarle un mondo migliore, il solo che riuscì a capire che quella donna non era la Callas, ma prima di tutto qualcuno che aveva bisogno di vivere la spensieratezza dell’infanzia, qualcuno che avrebbe sempre faticato a guardarsi dentro, non ritenendosi mai abbastanza per se stessa. Incredibile ciò che si può provare quando due persone si guardano e si completano: un uomo che era stato tanto capace di farla felice quanto capace di ucciderla. Non tanto metaforicamente parlando, perché Maria Callas subiva i continui tradimenti di Onassis lungo ognuna delle sue vertebre, lungo ogni viscera, per la precisione. Le performance poco soddisfacenti si alternavano a momenti in cui riusciva a riemergere dal suo dolore: era se stessa anche sul suo amato palco.

Attrice dei suoi stessi drammi prima di quelli che interpretava. Se la vita l’aveva sempre guardata e messa a dura prova, lei l’aveva sempre affrontata non senza lasciarsi sopraffare dalle debolezze. “Troppo fiera, troppo fragile” (5): così era solita definirsi. Quando l’artista incontra la donna ne ricava enormi successi e al tempo stesso cedimenti: l’essenza di una Grande rimane un’eterna dicotomia tra lato vincente e sfumatura di debole profondità.

Tutte noi non siamo immuni dagli ostacoli nel nostro percorso; la vera differenza risiede in coloro che riescono a comunicare loro stesse anche nelle loro piccole e grandi disfatte.

Si spense nel 1977 Maria Callas, e con lei si spense il soprano più grande di sempre. Si spense la Sua voce e con quella l’immensità che soltanto Lei fu capace di regalare.

“Era nata per cantare e per stare sulla scena. La sua musica e la sua voce entravano dentro il cuore, lei produceva melodia. Aveva dentro di sé, dentro la sua voce, la vita”. (6)

 

Note:

1. Tosca, melodramma di Puccini; libretto di Illica e Giocosa.

2. Franco Zeffirelli.

3. Dramma appartenente ai quattro drammi appartenenti alla Tetralogia de l’Anello del Nibelungo, di Richard Wagner.

4. Opera seria di Vincenzo Bellini su libretto di Carlo Pepoli.

5. Frase riportata dal giornalista Alfonso Signorini.

6. Franco Corelli.

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