Molti non se ne accorgono, ma la bellezza e il fascino di un attore comico si nascondono nel fatto che dietro a quel volto e a quelle battute che ci divertono ed emozionano si nasconde quasi sempre un’indole tragica e malinconica che in pubblico ci viene nascosta da una metaforica maschera comica. È la solitudine dell’attore, il riso amaro di chi per professione deve sempre essere qualcun altro, finendo così per trascurare e perdere se stesso.
Franz Kafka una volta disse che “mentre si ride, si pensa che c’è sempre tempo per la serietà”. Mi sembrava un aforisma interessante per iniziare questa riflessione, che non vuole essere un canonico omaggio post mortem al compianto Robin Williams, quanto piuttosto un discorso sulla maschera che l’attore comico è costretto ad indossare quando inizia questa professione. Si dice spesso che una buona commedia può dirsi pienamente riuscita se al suo interno c’è anche una vena tragico/nostalgica che dopo la risata ci fa riflettere o commuovere. Tutti i grandi comici possiedono questo dono. Quello di saper unire tra loro l’umorismo e la velata malinconia, rendendo una performance completa nella gamma delle emozioni. Senza il tragico, la commedia diventa semplice farsa a cui assistere senza alcun coinvolgimento emotivo attraverso risate stupide, nate da battute che non contengono al loro interno un concetto su cui riflettere e generate semplicemente da volgarità e rumori del basso ventre.
Robin Williams è stato uno dei grandi proprio per aver saputo celare fino alla fine il dramma umano che attanagliava la sua vita personale, coprendolo con la maschera di innumerevoli personaggi rimasti indelebili nel nostro immaginario di spettatori. Molti lo hanno ricordato per i classici “Hook”, “L’attimo fuggente” o “Jumanji”. Ma per il discorso che abbiamo intrapreso, le pellicole più adatte a mettere in scena questa dualità tragicomica sono senza dubbio “Patch Adams” e “Insomnia”. Quest’ultimo è uno dei film più riusciti di Christopher Nolan e ci mostra un Williams in versione inedita. Serial killer spietato, che sa ridere di se stesso e prova divertimento a far impazzire un Al Pacino mai così assonnato nelle splendide terre dell’Alaska. E’ il lato più sadico della comicità, il ruolo del cattivo a cui un comico navigato aspira per veder ancora più arricchito il suo curriculum. Williams lo interpreta sempre con grande intelligenza e il suo villian diventa così un comico mancato che ha preferito la via della violenza a quella della risata. Notevole perché rappresenta quasi un unicum nella filmografia dell’attore. Discorso diverso invece per “Patch Adams”, pellicola conosciuta e vista da moltissimi spettatori in tutto il Mondo, in cui emerge con chiarezza il discorso della maschera. Non solo a livello personale dell’attore, ma anche nella figura del personaggio vero e proprio che con il suo naso rosso riesce a regalare un sorriso ai bambini malati terminali, pur vivendo lui stesso una vita fatta di dolori e sofferenze.
Ecco: Robin Williams e molti altri prima di lui, sono stati i Patch Adams del grande schermo, hanno saputo curare gli spettatori dalla monotonia delle loro routine, regalandoci una risata quando ne avevamo più bisogno. Ci hanno donato sorrisi ed emozioni senza chiederci nulla in cambio. Senza farci capire il dolore e la solitudine che albergava nelle loro vere vite. Quelle che bisogna affrontare quando si spengono le luci del set e arriva il momento di togliersi la maschera. Il lato oscuro del comico sta tutto in questo segreto. Nel riuscire ad affrontare i demoni nascosti dietro quella maschera, che molte volte purtroppo riescono ad avere la meglio portandosi via con loro gli attori a cui abbiamo affidato una parte dei nostri più cari ricordi. In bilico costante tra umorismo e tragedia, il comico si muove veloce e silenzioso. Non ci fa capire chi è veramente, ma se osserverete più da vicino i sorrisi che offre alla platea incantata e divertita, scoprirete in fondo ai suoi occhi quella tristezza così reale e malinconica capace di trasformarlo in qualcosa di indimenticabile.
Alvise Wollner