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Mercato d’arte e prezzi folli: amore del bello o mera ostentazione?

Credo che a chiunque venga da chiedersi cosa spinge certe persone o certe società, per quanto facoltose possano essere, a spendere cifre dell’ordine dei 100 milioni di euro per aggiudicarsi un quadro o più in generale un’opera d’arte di un grande artista. A questo proposito, mi ha fatto sorridere un mio insegnante quando affermò di aver considerato “invalutabile” la famosa villa di Maser, opera di Palladio: “come si può dare un valore a un edificio progettato da Palladio e tutto affrescato da Paolo Veronese?”.

In realtà un simile ragionamento non fa che dimostrare quanto lontana sia la mentalità accademica dalla realtà spietatamente capitalista in cui viviamo. Sì, perché ci sono ben due casi recenti in cui delle ville venete di notevole valore artistico e architettonico sono state vendute: la Villa Selvatico-Emo di Battaglia Terme (edificio seicentesco tra i più preziosi del Veneto) è stata battuta all’asta per poco meno di 3 milioni di euro, all’incirca lo stesso prezzo a cui è stato venduto il Castello del Catajo, villa cinquecentesca di dimensioni enormi (oltre trecento stanze) e affrescata da uno dei migliori allievi del Veronese (Giambattista Zelotti), rimasta più volte invenduta e dunque fortemente svalutata. Ora non si può certo dire che 3 milioni siano pochi, ma cosa dire allora dei 300 milioni a cui è stato aggiudicato un dipinto della fase tahitiana di Paul Gauguin, o dei 250 milioni per i Giocatori di carte di Cézanne, o dei 170 milioni per un nudo di Amedeo Modigliani? Ha senso che un singolo quadro valga 100 volte di più di un intero edificio storico di altissima qualità artistica?

La risposta è scontata. D’altra parte è vero che un immobile acquisisce valore secondo la sua ubicazione geografica, e che i costi di manutenzione e i vincoli imposti dalle soprintendenze ai beni architettonici possono creare notevoli difficoltà alla vendita di questo tipo di edifici, con conseguente crollo del loro valore di mercato. Tuttavia non bisognerebbe chiedersi perché le ville venete costino così poco rispetto ai quadri di artisti contemporanei, ma piuttosto perché questi ultimi, pur senza vantare dimensioni notevoli o lunghi tempi di produzione, vengano venduti a prezzi che equivalgono a diverse migliaia di anni di lavoro da parte di un salariato medio italiano. Sinceramente mi viene da credere che, in particolare in questi ultimi anni, vi sia una sorta di feticcio per la singola opera d’arte, per l’immagine nota o, quanto meno, facilmente riconoscibile, tesoretto simbolo di un’epoca di cui ci sentiamo figli, bandiera di una cultura figurativa che porta su di sé tutti i segni della storia recente. Che altra spiegazione ci può essere altrimenti a una tale assurdità? Ciò va poi legato a una corsa folle al record, a un’ostentazione esasperata dei propri averi da parte dei compratori (e non è un caso che spesso si riesca a conoscere l’identità dell’acquirente, nonostante ciò non dovrebbe normalmente avvenire), a un gioco di potere in cui l’arte è solo un mezzo (anzi, l’opera d’arte è un mezzo; l’arte non viene nemmeno presa in considerazione, visto che molti di questi acquisti vedono per oggetto quadri di artisti famosi, ma troppe volte non appartenenti alla loro produzione qualitativamente migliore).

Personalmente non ho mai avuto a che fare con questi acquirenti miliardari e perciò non posso sapere con sicurezza se veramente possano considerarsi degli appassionati collezionisti, ma sono convinto che si tratti piuttosto di accumulatori compulsivi di opere che qualcun altro ha consigliato loro di comprare a qualunque prezzo, perché averle procura prestigio al loro possessore. Sarebbe comprensibile l’atteggiamento di chi compra a caro prezzo opere d’arte contemporanea come forma d’investimento, cosa che richiede oculatezza e buona conoscenza. Ma in questo caso nessuno si spingerebbe a regalare (perché di questo si tratta) cifre come quelle citate sopra. Quegli acquisti folli devono fare notizia e devono in qualche modo abbattere totalmente la possibilità che qualcun altro possa aggiudicarsi l’opera desiderata. Ovviamente, però, qui il concetto di investimento va a morire, così come muore pure il valore dell’opera in sé. Infatti, lasciando da parte l’etica e il fatto che si è disposti a spendere cifre simili per un singolo quadro, c’è anche da constatare che con quei 300 milioni spesi per l’opera di Gauguin un collezionista con un poco di senno, un buon fiuto per gli affari e una profonda passione per l’arte sarebbe in grado di creare una raccolta degna di un museo, che potrebbe vantare quadri e disegni di numerosissimi artisti famosi ma con una quotazione più “normale”, tra i quali potrebbero esserci, per esempio, Canaletto e Turner. Che nella storia dell’arte non hanno certo un ruolo di secondo piano.

Luca Sperandio

[Immagine tratta da Google Immagini]

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