Il film documentario PimaAscesa del regista Leonardo Panizza, presentato nel 2021 alla sessantanovesima edizione del Trento Film Festival e premiato in numerose rassegne cinematografiche, racconta l’eccezionale prima ascesa da parte di due alpinisti trentini, Simon Sartori e Giovanni Moscon, di una delle ultime cime “inviolate” del pianeta: una montagna di rifiuti a cielo aperto, che è sempre stata lì sotto lo sguardo di tutti, ma che nessuno ha mai pensato di raggiungere con piccozze e ramponi, per poi discendere con gli sci, sopra materassi abbandonati, confezioni di prodotti non ancora esauriti e ogni altro genere di immondizia gettata nell’ammasso indifferenziato.
PimaAscesa sembra così un film paradossale, in cui l’uomo scala per la prima volta una montagna, che lui ha creato senza nemmeno rendersene conto. Un uomo che trova quindi un mondo completamente sconosciuto anche se ne è l’artefice. Alla vista della discarica di spazzatura lo spettatore ha infatti difficoltà ad ammettere la provenienza di tutto quel grande accumulo di scarti e prova una sensazione di disgusto. La scalata della montagna di spazzatura maleodorante a cielo aperto appare allora come un atto di provocazione verso la società e invita il pubblico a rivolgere l’attenzione sui problemi legati all’inquinamento e al consumismo contemporaneo. Inoltre, l’ascesa alla cima della discarica, rappresentando un’impresa alternativa a quella più comune di salire su un picco alpino, offre l’opportunità di riflettere sul nostro modo di intendere la montagna, legato spesso a immagini fiabesche di una natura incontaminata.
Infatti, la frequentazione dell’alta montagna è un’attività che molte persone intraprendono durante l’anno per trascorrere il tempo libero, compiendo escursioni in mezzo alle bellezze paesaggistiche. Tuttavia, è interessante sottolineare che la scoperta delle qualità estetiche dello spazio montano è il risultato di una serie di visioni sviluppate a partire dalla fine dell’epoca moderna, alla quale hanno contribuito filosofi, letterati, scienziati e artisti. Lo stesso concetto di sublime, connesso al sentimento di terrore e bellezza provocato dall’altezza, come è stato descritto da Edmund Burke nel 1757 e ripreso in seguito da Immanuel Kant nella Critica del Giudizio (1790), ha influito sulla nascita dell’interesse e della contemplazione delle vette. Inoltre, le opere di scrittori e pensatori, tra cui Le Alpi (1732) di Albrecht von Haller e La nuova Eloisa (1761) di Jean-Jacques Rousseau, hanno tramandato un’idea poetica delle Alpi, spingendo viaggiatori e turisti europei a spostarsi dai centri urbani alle quote più alte, per fruire della purezza e dell’incanto di fitte foreste e di pendii pietrosi (cfr. P. Giacomoni, Il nuovo laboratorio della natura, 2019).
Anche il Romanticismo, ereditando le suggestioni estetiche che caratterizzano il Settecento, ha eletto la montagna a luogo privilegiato per rigenerare un contatto diretto tra uomo e natura, esprimendo un sentimento nostalgico contrapposto all’accelerazione dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione delle città. Questa visione romantica contribuisce ancora oggi ad attirare folle di escursionisti, che scelgono le località montane alla ricerca di ambienti naturali e di aria pulita, lontano dal cemento e dall’inquinamento delle zone densamente abitate. In questa spinta verso l’alto si può intravedere una proiezione compensativa di una società che, sempre più incalzata dai problemi legati al degrado ambientale, rievoca il mito di paradisi terrestri inviolati (cfr.L. Bonesio, Oltre il paesaggio, 2002). Sembra quindi sussistere una certa corrispondenza tra la ricerca di paesaggi incantevoli, caratterizzati da cieli tersi e panorami mozzafiato, e la fuga dal degrado urbano, contrassegnato specialmente dall’accumulazione costante di rifiuti.
Se, dunque, nel paesaggio da una parte si innalzano “montagne incantate”, frutto di una particolare concezione estetica sviluppata in epoca moderna, dall’altra si elevano montagne di immondizia, create sempre dall’uomo. Una alimenta l’altra, in una visione del mondo che proietta l’immaginazione e il desiderio degli individui verso le altezze sublimi, ammassando la spazzatura verso il basso. Il rischio, tuttavia, è che in questa prospettiva la frequentazione dell’alta quota si riduca unicamente a una forma di evasione provvisoria dalla vita quotidiana e dai problemi connessi al nostro modo di vivere. Il passaggio dal sentimento di apprezzamento estetico per l’immagine della vetta immacolata a quello di repulsione di fronte al degrado dei mucchi di spazzatura ci ricorda invece che, all’ombra di un’idea di montagna “incontaminata e salubre”, cresce silenziosa e inesorabile la montagna di rifiuti, il suo “doppio” materiale (cfr. J. Scanian, Spazzatura, 2006.) che ogni giorno contribuiamo a generare.
NOTE: [Photo Credits Antoine Giret by Unsplash]