Das Unheimliche è un vocabolo della lingua tedesca, utilizzato da Sigmund Freud nel 1919 come termine concettuale per esprimere, in ambito estetico, una particolare attitudine della paura che si sviluppa quando una cosa (o una persona, una impressione, un fatto o una situazione) viene avvertita da noi come familiare ed estranea al tempo stesso, scaturendo una generica angoscia unita a una spiacevole sensazione di confusione ed estraneità. In italiano il termine è stato spesso tradotto con l’aggettivo sostantivato perturbante. Al cinema, il corrispettivo dell’Unheimliche freudiano potrebbe essere individuato in Mother!, nuovo film dello statunitense Darren Aronofsky, il regista che nel 2011 aveva diretto Il cigno nero.
Presentato in concorso alla settantaquattresima Mostra d’arte cinematografica di Venezia, Mother! (o Madre! se preferite la traduzione italiana del titolo) ha diviso fin da subito critici e spettatori, generando una serie di riflessioni e giudizi contrastanti sul valore etico ed estetico della pellicola. Il perché di tante polemiche e discussioni è presto spiegato: Mother! è un film pensato per disturbare lo spettatore, per farlo uscire dalla comfort zone della sala cinematografica in cui si trova e per scaraventarlo in un incubo a occhi aperti della durata di oltre due ore. Piccola precisazione: il termine incubo qui non vuole far intendere che il film di Aronofsky sia per forza un horror, perché sarebbe sbagliato etichettarlo in questo modo. Piuttosto potrebbe assere catalogato come un complesso thriller psicologico. La verità è che Mother! oltrepassa ogni possibile definizione di genere perché è una sorta di unicum rispetto a tutto quello che abbiamo visto finora al cinema.
La trama segue le vicissitudini di uno scrittore in crisi d’ispirazione e della sua musa intenta a sistemare la casa in cui hanno deciso di vivere. All’esterno dell’edificio sembra esserci solo la natura incontaminata, all’interno dell’abitazione regnano invece i sentimenti più disparati di una relazione: dall’amore alla rabbia, passando per le piccole gioie fino ai sogni infranti. Il microcosmo della casa dovrebbe essere idilliaco per i due coniugi, ma c’è sempre qualcosa in agguato pronto a minare la serenità di un rapporto che insegue di continuo il sogno della perfetta felicità. Poi, all’improvviso, il mondo esterno inizia a fare irruzione nella casa della coppia. Prima con piccole avvisaglie, poi in maniera sempre più invasiva. Jennifer Lawrence interpreta la personificazione della pars costruens, la donna che cerca di costruire e sistemare la propria esistenza insieme a quella del compagno, ricoprendolo di cure e attenzioni. Javier Bardem è invece l’artista demiurgo e imprevedibile che, dando vita alla pars destruens, rimane sempre in bilico tra caos e ragionevolezza.
Impossibile raccontare di più, onde evitare di rovinare un film che andrebbe vissuto con la piena volontà di lasciarsi trasportare dalle immagini, senza pretendere che queste possano avere un significato ed un senso nell’immediato. Mother! è uno di quei film che potrà disgustarvi o deludervi a una prima visione ma che saprà smuovere le vostre coscienze spettatoriali, lasciandovi con un’infinità di spunti su cui riflettere nei giorni successivi a quando lo vedrete. È un film che ha bisogno di tempo per essere assimilato e che non lascia indifferente chi lo guarda. Per questo è un’opera coraggiosa e stimolante che merita di essere vista al cinema superando i pregiudizi che potrebbero influenzarne la visione. Mother! parla al cuore e soprattutto alla mente dello spettatore. È un film che denuncia lo stato di degrado e violenza in cui si trova oggi il nostro Pianeta. È un’opera che non si vergogna di essere autobiografica nel momento in cui mette in scena il rapporto tra un artista e la sua musa (Aronofsky e Jennifer Lawrence sono una coppia nella vita reale). Soprattutto è un film che ha il coraggio di prendersi dei rischi immani e di osare tantissimo pur di raccontare una vicenda capace di provocare una reazione forte in chi la guarda. Un lavoro in cui i difetti non mancano, ma che sarà capace di accompagnare per molto tempo i suoi spettatori, lasciando un messaggio che per ognuno di loro sarà diverso. In questo risiede la forza del Pertubante: nel portare alla luce ciò che credevamo nascosto e inesistente, facendoci diventare consapevoli di come l’arte, capace di indagare realmente le dinamiche umane, riesca ancora a turbarci nel profondo, avvicinandoci nel contempo al sublime.
Alvise Wollner