Tra il 1873 e il 1876 Friedrich Nietzsche pubblica le Considerazioni inattuali, una serie di quattro saggi che contengono taglienti critiche al secolo in cui ha vissuto. La chiave di lettura di queste riflessioni si trova proprio nel termine “inattuale” che viene reso nella lingua tedesca con Unzeitgemäß, letteralmente “non” (un), “tempo” (zeit), “appropriato” (gemäß), ossia inadeguato e non conforme ai tempi. Nietzsche, nella premessa alla seconda delle Unzeitgemäße Betrachtungen, titolata Sull’utilità e il danno della storia per la vita, si descrive come un pensatore inattuale che, in quanto allievo di epoche andate e di altre civiltà, prende le distanze dalla cultura, dalla società e dalla politica del mondo moderno, senza comunque ritenersi anacronistico o guardare con malinconica nostalgia al passato.
Per il filosofo, infatti, il pensiero inattuale trae il vigore dagli antichi per discostarsi da tutto ciò che nel presente dovrebbe essere criticato, a favore di un tempo venturo. L’inattualità assume per Nietzsche, dunque, il valore di strumento e di particolare atteggiamento per approcciare in maniera critica il mondo a lui contemporaneo. Senza voler approfondire ulteriormente le questioni legate alle varie declinazioni del concetto di inattuale nella filosofia nietzschiana, è interessante tuttavia notare che, dopo la scomparsa del pensatore tedesco, il termine ha trovato utilizzo in molti altri contesti e oggi l’espressione viene usata in maniera abbastanza diffusa in campi disciplinari differenti, non specificamente filosofici. Per fare un esempio, Francesco Remotti nello scritto Per un’antropologia inattuale (Eleuthera 2015) richiama proprio l’inattualità nietzschiana come distanza necessaria che serve al lavoro degli antropologi per non rimanere intrappolati nel proprio presente.
Prendendo ispirazione da Nietzsche, sembra allora altrettanto interessante domandarsi se il termine “inattuale” possa costituire anche un concetto aderente alla realtà quotidiana, ossia possa risultare valido per comprendere i nostri spazi di vita, tentando di individuare il carattere di inattualità nei paesaggi che viviamo. Se, quindi, come suggerisce il filosofo, inattuale è qualcosa di calato nel presente ma non conforme e in contrasto ad esso, a sostegno di un tempo a venire, si potrebbe proporre che alcuni tipi di edifici e strutture in rovina appaiono effettivamente come presenze inadeguate ai tempi e ai luoghi in cui sono oggi collocati. In questa prospettiva, però, tra le rovine inattuali non rientrano quei resti archeologici trasformati in beni monumentali, che si configurano invece come un passato riattualizzato in balia dei turisti. Non farebbero parte nemmeno quei ruderi già completamente collassati, crollati o abbattuti, che sono diventati ormai cumuli di macerie, soccombendo pertanto al dominio del presente.
Alle rovine inattuali appartengono piuttosto quelle opere costruite e abbandonate che hanno perduto la loro funzione originaria ma che non hanno ancora finito di vivere, sospese fra passato, presente e futuro. Compaiono spesso ricoperte dalla vegetazione spontanea che ne ha confuso le linee e le forme, ripopolate talvolta da nuovi abitanti, non solo umani ma anche di altre specie, ricordandoci l’ineludibile compenetrazione tra i progetti degli uomini e i processi della natura. Le rovine, ad esempio, di palazzi e palazzine in disuso, di paesi terremotati e case sfollate, di vecchie caserme e di bunker militari, di fabbriche contaminate e stabilimenti dismessi mostrano il loro carattere inattuale in quanto luoghi di trasformazioni sospese e di processi ecologici non ancora conclusi, in cui lo scarto e la risorsa tendono a sovrapporsi e a confondersi. I paesaggi “interrotti” (l’espressione è ripresa da A. Marini, Geografie interrotte, Franco Angeli 2020) delle rovine sono testimonianze del passato, ferite di avversità meteorologiche, tracce di eventi bellici, segni lasciati dall’uomo sull’ambiente, che, resistendo al presente che li vorrebbe cancellare, ci offrono un monito e una fonte di riflessione critica sul senso dell’abitare dell’uomo nel mondo.
Traendo spunto dal pensiero di Friedrich Nietzsche, quindi, cogliere l’inattuale nelle rovine vuol dire considerare attentamente il nostro modo di vivere e costruire il presente in relazione a quello che c’era prima, come insegnamento per il domani. Significa inoltre tralasciare due tipi di reazione, opposti ma complementari, con cui si è soliti comportarsi alla vista di edifici e costruzioni in stato di abbandono: da un lato, un tipico sentimento romantico, che ci spinge a guardare i tempi andati con rassegnata malinconia; dall’altro lato, una indifferenza apatica, per cui si perde l’abitudine a riflettere sulla qualità dei nostri spazi di vita. Assumere l’inattualità come categoria interpretativa delle rovine, stimola, in conclusione, a dilatare la nostra esperienza del paesaggio nel tempo, tra passato, presente e futuro, mettendo in luce la profonda connessione fra abitare e costruire.
NOTE
[Photo credit Paolo Sandri]