Non sempre per la risoluzione di una problematica è vantaggioso insistere sulla medesima soluzione. È più probabile che quella determinata situazione richieda un cambiamento di prospettiva; quello stesso movimento che Socrate auspicava per i suoi concittadini. È questa prospettiva alternativa ciò che Edward De Bono definì nel 1967 come pensiero laterale. Il concetto alla base del pensiero laterale è proprio l’idea secondo cui, per ciascun problema, sia sempre possibile individuare diverse soluzioni; alcune di queste emergono solo nel momento in cui si esuli da ciò che inizialmente appariva come l’unico percorso possibile e si inizi a cercare elementi, intuizioni e spunti fuori dal dominio di conoscenze secolari e dalla rigida catena logica.
Nel corso dell’esistenza ogni essere umano si è trovato almeno una volta in un momento di crisi. Questo provoca solitamente un circolo vizioso dovuto a un pensiero statico, ripetitivo, capace di vedere e affrontare la situazione da un unico punto di vista. Per lo psicologo maltese De Bono, è possibile imparare a pensare in modo diverso per evitare questi loop, proprio attraverso la capacità umana del pensiero laterale. Il pensiero laterale, di natura intuitiva, è differente rispetto a quello verticale, ovvero a quella tipologia di pensiero logica e consequenziale, da sempre l’unica degna di considerazione. A volte quest’ultimo ci ingabbia e non ci permette di guardare oltre la nostra visuale, interagendo in modi differenti con la realtà.
Il pensiero laterale vede con favore il volersi sottoporre a una grande quantità di stimoli. Infatti, invece di lasciare che una sola idea faccia capolino nella propria mente, l’intrecciare molti concetti ed idee eterogenei, sviluppati magari in momenti differenti, può portare allo sviluppo di idee straordinarie. Ciò richiede una ferma volontà di non escludere alcuna sfaccettatura, perché nulla è davvero fonte di disturbo. Spesso questo incrocio di binari, o l’uso arbitrario di essi, permette scoperte e sviluppi del tutto inaspettati. Come scrive De Bono: «l’ideale, per l’intelletto umano, sarebbe di diventare una casa ospitale dove ogni apporto informativo è ben accolto e possano entrare non soltanto gli ospiti invitati o interessanti, ma anche il forestiero di passaggio e l’intruso» (E. De Bono, Il pensiero laterale, 2016).
A differenza del pensiero logico, quello laterale accetta di brancolare nel buio. Accetta il caos e il non ancora definito. Lo fa in quanto esso è lo spazio in cui per eccellenza brulicano le idee e, quindi, dove risulta più facile che emerga qualcosa di nuovo.
Qui sta la pars costruens del pensiero laterale. Esso, a differenza di quello logico, non si limita a schemi rigidamente accettati, esso aspira a nuove idee. Idee più semplici e più efficaci che si inseriscono in un orizzonte diverso, in un nuovo ordine, migliore rispetto al precedente. Basti pensare a chi, nonostante abbia risolto un problema in modo soddisfacente, continua a sentire uno stimolo a tentare nuove strade.
Di certo il pensiero laterale si scontra con la realtà. Ovvero, una volta concepita una nuova idea, non è facile individuare chi la metta in pratica. È sotto gli occhi di tutti come il concepimento di una nuova idea sia spesso molto più entusiasmante della sua realizzazione pratica. Solitamente, l’interesse se lo accaparrano quelle idee che mostrano in se stesse l’utile che è possibile ricavare, la loro valenza pratica.
Le idee nuove, tuttavia, rischiano di andare incontro ad una prova falsata proprio perché sono nuove. Lo spirito di conservazione rende difficile staccarsi dal passato. Si è riluttanti a dar credito a nuove idee.
La pratica di nutrire nuove idee viene solitamente riservata ai ricercatori, quasi fosse parte integrante solamente del loro lavoro. Ciò giustifica tutti gli altri a non interessarsene, a non educare la propria mente al pensiero laterale. Ma esso è utile a tutti. A tutti coloro che necessitano di idee nuove, anche nelle piccole situazioni di vita quotidiana. Tutti possono acquisire una mentalità laterale ed essa richiede pratica: non ha delle ricette o delle tecniche specifiche di applicazione, richiede piuttosto una forma mentis, non di immediata acquisizione. È infatti faticoso abbandonare una determinata impostazione per un nuovo ordine, che scardini la prima. Chi applica una mentalità laterale si occupa di cercare nuove correlazioni tra gli elementi del problema, nutrendo così uno sguardo totalmente nuovo.
La nostra contemporaneità, come le singole esistenze, ha bisogno di persone che accolgano ed allenino questa forma mentis, che non si accontentino di soluzioni prefabbricate ma lascino vagare il proprio intelletto finché non approda su isole inaspettatamente vicine e fertili.
Sonia Cominassi
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