L’esperienza umana è costantemente immersa nella complessità, in un’interazione continua con innumerevoli fattori e variabili che sfuggono al controllo e all’osservazione; per orientarsi in questo ordine caotico, la mente rincorre informazioni e ricostruisce processi secondo gli stimoli esterni e attraverso gli schemi culturali. In poche parole, semplifica. In fondo tutto questo scomporre e mettere in relazione non è molto di più.
L’adesione a teorie di complottismi e a schemi semplicistici, nonché il giudizio di veridicità attribuito a informazioni inesatte o completamente distaccate dalla realtà, non richiama un identikit preciso, né si limita ad interessare gli strati meno istruiti della società, caratterizzando al contrario anche autori e scuole di pensiero in ambito accademico.
La mente umana è una macchina raffinata, ma inevitabilmente limitata dall’indisponibilità di un numero sufficiente di dati ed informazioni e da bias cognitivi. La ricerca della Verità è sempre stata costitutiva dell’esperienza umana, la strada da seguire mai chiara. Se la religione forniva risposte suggestive e trascendenti ma cognitivamente semplici come la mitologia cosmogonica – una divinità antropomorfa o zoomorfa ricalcata su immagini familiari, o che plasma l’universo con la creta come un artigiano – il logos e la scienza apparivano come pretenziose ed irriverenti elucubrazioni.
La ricerca di un ordine e di una ragione comprensibile per fenomeni ed avvenimenti attraverso esplorazione e conoscenza non manca di ostacoli, è anzi spesso un percorso dove la doxa prevarica l’episteme, rinforzandosi in un circolo vizioso. L’osservazione personale è dopotutto più tangibile della scienza calata dall’alto, e una spiegazione non soddisfacente di un fenomeno spinge alla ricerca di una che appaia più consona all’immagine che abbiamo del fenomeno stesso. Le risposte dell’episteme sono spesso “piccole” – ad esempio il salto di specie di un virus – per giustificare l’enormità di un fenomeno e del suo impatto sulla vita quotidiana – la pandemia. Ci serve una spiegazione semplice da comprendere, ma che costituisca una degna causa, qualcosa di grande: è un’esigenza che rafforza e rinvigorisce il complottismo. Immaginare l’allunaggio come un espediente cinematografico in risposta alle logiche dei poteri forti è un plot in apparenza intricato, ma più vicino all’esperienza umana quotidiana, al visibile e al comprensibile, come le dietrologie sull’11 settembre o le teorie terrapiattiste.
Inoltre, nonostante la conoscenza su un argomento possa aumentare il grado di competenza, non scongiura automaticamente il filtro dell’opinione, né assicura la lontananza dai complottismi. Semplificando, non è unicamente questione di istruzione, ma anche di apertura e flessibilità di pensiero, inteso come un pensiero critico che non cerca in ogni modo di arrogarsi tale, ma che si pone costantemente in discussione e alla prova, slegandosi dal pregiudizio e dal senso comune della propria bolla di opinione – o camera di risonanza. L’illusione di un pensiero indipendente contro l’informazione percepita come dogmatica e discendente rischia di essere a sua volta figlia dell’affiliazione alla propria comunità epistemica di riferimento, dove la ricerca dell’informazione negata si trasforma in ricerca dell’informazione conforme.
Dalla giustificazione divina al capro espiatorio – gli untori – le ombre sul fondo della caverna sono varie e godono di varia legittimazione. Al tempo stesso, i loro contorni non hanno la stessa definizione per tutti. Non solo la realtà percepita ha distanza variabile dal reale, ma la sua stessa forma risponde alla legge protagorea dell’homo mensura, dove entrano in gioco variabili di contesto difficilmente controllabili: l’ombra di una notizia falsa o di una teoria fallace può essere più o meno convincente per un individuo senza per questo determinare la sua relazione con tutte le altre, magari relative ad un area completamente differente in cui questi può manifestare un diverso grado di competenza. È così che anche la distinzione di Eraclito in svegli e dormienti si scontra con la sua stessa riduttività, non solo per il suo carattere dicotomico, ma anche perché questa categorizzazione dovrebbe ricalcolarsi per ogni singolo argomento.
In fondo, la stessa adesione a dogmi e logiche fallaci da una parte ci semplifica la vita, creando schemi e set di motivazioni dal vasto campo di applicazione, e sarà sempre una caratteristica umana con cui convivere con consapevolezza per informarsi in maniera appropriata e comprendere i confini a volte labili tra opinione e conoscenza. Dall’altra parte, anestetizza il nostro senso critico e irrigidisce il ragionamento. Dall’affiliazione politica a quella ideologica, dall’inconscia esigenza di unicità al rifiuto del caos e dell’assenza di controllo umano, qualunque sia la sostanza della nostra bolla, per quanto rassicurante ed a portata di mano possa apparire affidarci alle sue logiche, si rende necessario tener conto, citando George B. Shaw, che per ogni problema complesso esiste una soluzione semplice, ma che di solito è anche quella sbagliata.
Desiré Sorrentino
Desiré Sorrentino, molisana classe 1999, torinese di adozione, studia Scienze Politiche e Sociali presso l’Università degli Studi di Torino. Scrivere è il suo personale modo per rapportarsi con la realtà, descriverla ed indagarla, i libri i suoi inseparabili compagni di strada, il cinema il suo appuntamento al buio, l’arte, la filosofia, la storia e le lingue straniere le sue terre da esplorare. Dal 2019 gestisce Periergos.org, un piccolo blog di approfondimento su temi di attualità e cultura. Nel tempo libero cerca di convincere i suoi amici dell’esistenza del Molise e di barcamenarsi nel dialetto piemontese.
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