Quanto conosciamo l’altro? Siamo davvero convinti di sapere tutto sul nostro partner e sui nostri amici più intimi?
Perfetti sconosciuti, film del 2016 diretto da Paolo Genovese, rivela ciò che troveremmo se, durante una cena, tutti mostrassero il contenuto del proprio cellulare, abbattendo le barriere della privacy e condividendo davvero la propria vita. Ne emergerebbe che nessuno è realmente candido nella coscienza, chi per tradimenti, chi per paura di essere giudicato, altri per mancata condivisione delle proprie idee, insomma ognuno mostrerebbe la verità su di sé: la presenza di piccoli o grandi segreti, dei quali nemmeno chi gli è più vicino è a conoscenza. Una sorta di dramma esistenziale, dunque, nel quale lo spettatore facilmente riesce ad identificarsi, guardando sotto la luce della verità la sua vita quotidiana l’ipocrisia che spesso lo circonda e di cui egli stesso si riveste per apparire in un certo modo difronte al prossimo.
«Siamo tutti frangibili» dirà Rocco, forse il più saggio del gruppo, alla fine del film, mostrando la fragilità dell’individuo attuale, che ha affidato la propria vita alla sim di un cellulare, pensando in questo modo di essere protetto da qualsiasi sguardo indiscreto. Ma in fondo nessuno è forte come crede, in quanto condivide davvero poco con i propri amici o il proprio partner e preferisce comunicare attraverso un dispositivo tecnologico piuttosto di vivere a fondo le relazioni. «Allora se ci parli trenta minuti al giorno sei innamorato» afferma Bianca con ingenuità, rivelando come ormai le nostre conversazioni vere sono ridotte davvero a poca cosa, in mezzo agli impegni giornalieri, tanto che trenta minuti di confronto sarebbero addirittura lo specchio dell’amore.
In Perfetti sconosciuti Paolo Genovese mette insomma in scena il dramma dell’individuo contemporaneo, occupato più ad apparire che ad essere, convinto il più delle volte di non aver nulla da nascondere, per poi scoprire di essere drammaticamente solo e attorniato da “perfetti sconosciuti”. Si tratta di un’umanità disumana, magistralmente espressa in maniera caricaturale nel film, che lascia l’amaro in bocca a chi, finita la pellicola, non può che guardare con compassionevole partecipazione i sette protagonisti dell’opera.
Siamo dunque destinati a rimanere in questo mondo di inconoscibilità e falsità? Sotto alcuni aspetti si, come si può intuire dalla conclusione del film, che riporta ognuno dentro alla torre d’avorio dell’Io, ignaro della propria solitudine e di quella che lo circonda. Tuttavia, uno spiraglio di luce lo fornisce sempre Rocco, quando, parlando con dolcezza alla moglie, mostra la remota possibilità di un dialogo vero, pregno di umanità:
«Non credo che sia debole chi è disposto a cedere, anzi, è pure saggio. Le uniche coppie che vedo durare sono quelle dove uno dei due, non importa chi, riesce a fare un passo indietro».
In poche parole, forse dovremmo cercare di ascoltare con umiltà, di condividere e aggiustare finché è possibile, di accettare quando non lo è più, perché questa è la chiave per vivere in modo autentico la nostra relazione.
In fondo, l’invito di Perfetti sconosciuti attraverso la voce di Rocco (un Marco Giallini che guarda con pragmatismo alla propria vita) è di essere il più possibile sinceri, perché costruire dei muri che poi diventano voragini non può che allontanare e spingere verso un mondo di isolamento.
Accogliamo dunque l’altro, cercando di ascoltare davvero le esigenze di chi ci sta attorno.
Anna Tieppo
[Immagine fermo immagine dal film di Paolo Genovese Perfetti sconosciuti]