L’inizio di un nuovo anno è sempre il tempo dei bilanci: è come se ciascuno di noi sentisse la necessità di mettere un punto a tutto quello che nella propria vita si teneva in sospeso, nel bene e nel male.
Non ho mai amato i resoconti del passato. Ridurre la propria esistenza a una specie di check-list di ciò che si è fatto e si è ottenuto, di quel che si è perso o non si è raggiunto, tende a escludere dalla propria prospettiva le sfumature che arricchiscono gli incontri, le conquiste e i fallimenti, appiattendo la propria esperienza sui meri “fatti”.
Nessun bilancio da parte mia per questo 2018 passato. Mi limito a ricordare, a volte con un velo di nostalgia, quella innocua, che ti fa sorridere. È un sabato mattina e approfitto del centro città ancora vuoto per sedermi in un caffè e scrivere, come quando ero all’università e mi prendevo una pausa dallo studio per dare forma ai miei pensieri.
La voce di Nick Drake mi riporta alla mente quegli interrogativi che assillavano una giovane matricola di filosofia, ormai molti anni fa.
«When I was younger, younger than before / I never saw the truth hanging from the door»1 canta in Place to be.
Già, la verità. Che cos’è la filosofia se non la costante ricerca della possibilità e del senso della verità? Politica, religione, scienza, sociologia, antropologia: non sono tutte legate da un’unica sottile trama che le riconduce al problema del Vero? Lungi dall’essere un valore assoluto da imporre universalmente, uno dei primi insegnamenti che ho appreso dagli autori del passato è che il concetto di verità si declina in molteplici versi, sfuggendo a una semplice classificazione. Verità storica, verità di fatto, verità di ragione, verità di fede: quante verità possibili?
«And now I’m older see it face to face / And now I’m older gotta get up clean the place»2.
Forse la verità più profonda è quella che si raggiunge proprio con il tempo, quella costante a cui l’uomo non riuscirà mai a sottrarsi. Un giorno ti prendi una pausa dalla routine e ti chiedi: “ok, quindi è tutto qui?”. Ora, ponendoti alla giusta distanza temporale, vedi bene gli errori del passato, i traguardi, ma anche inevitabilmente le sconfitte e i rimpianti. Le alternative che hai scartato nel corso degli anni e le vite possibili a cui hai rinunciato.
«And I was green, greener than the hill / Where the flowers grew and the sun shone still»3.
Idealizzare la nostra giovinezza: ecco l’errore che spesso si compie. In fondo, vorremmo veramente tornare quelli che eravamo? Le possibilità che avevamo, a distanza di anni ci sembrano illimitate, ma non erano forse mere illusioni?
Ciò che più manca è l’inconsapevolezza che ci rendeva innocenti. Non c’erano ancora gli errori che logorano, le ferite aperte.
«Now I’m darker than the deepest sea / Just hand me down, give me a place to be»4.
Ecco, la ricerca di un posto in cui stare. La tranquillità e la pace interiore, un luogo che si possa definire veramente “casa”. C’è chi ha trovato ben presto quel luogo dentro di sé ed è rimasto lì fino alla fine dei suoi giorni e chi invece, forse come Nick, quel luogo l’ha sempre cercato, senza mai trovarlo.
Ripenso con nostalgia agli anni in cui ho appreso dalla filosofia molto più di quanto mi aspettassi. Non parlo di semplici nozioni o conoscenze, ma di una visione del mondo che mi ha reso la persona che sono oggi. Impossibile per me non ripensare al Mito di Sisifo di Albert Camus, dove il filosofo francese descrive il momento in cui un uomo “si accorge o dice di avere trent’anni”:
«Costui ammette di trovarsi a un certo punto di una curva, riconoscendo di doverla percorrere fino in fondo. Egli appartiene al tempo, e per l’orrore che l’afferra, riconosce così il suo peggior nemico. Domani – desiderava ardentemente il domani – mentre tutto in lui avrebbe dovuto rifiutarlo. L’assurdo, è proprio quella rivolta della carne»5.
Di fronte alla fuga dall’assurdo ad opera degli esistenzialisti, la lucida analisi di Albert Camus ci pone davanti a un’unica possibilità: confrontarci con l’esperienza umana nella sua finitudine sofferta e nella sua relazione con il mondo e con gli altri. Così, lo sforzo di Sisifo nel trascinare il masso su per la collina per poi vederlo ricadere, giorno dopo giorno per l’eternità, diventa il simbolo della nostra esistenza, dove ogni sforzo è gratuito, senza alcuno scopo.
«I thought I’d see / when day is done / Now I’m weaker than / the palest blue / Oh so weak in this need for you»6.
La forza della giovinezza si contrappone qui alla debolezza e alla fragilità della maturità. Più trascorrono gli anni, più ci si sente dipendenti dall’altro: le tue scelte diventano in parte le mie, l’amore e l’amicizia sfumano nel bisogno, la dipendenza affettiva costruisce muri anziché renderci liberi. Dove trovare l’antidoto contro la temporalità dell’esistenza? Non esiste nessuna pietra filosofale, ma Camus insegna che è invece la consapevolezza di fronte alla morte ciò che rende l’uomo assurdo, un uomo sorridente.
Il sorriso che immaginiamo sul volto di Sisifo felice potrebbe essere l’espressione di un presente eterno, quel posto in cui stare al di là del tempo e della mortalità.
Greta Esposito
NOTE
1-4. Nick Drake – Place to be.
5. Albert Camus, Il Mito di Sisifo, in Opere. Romanzi, racconti, saggi, Bompiani, Milano 1988, pp. 214-215.
6. Nick Drake – Place to be.
[Photo credit Aron Visuals]