Quando parlava di sé, Plotino, un grande filosofo del III secolo d.C., era molto modesto: si definiva un semplice discepolo di Platone. Si presentava quindi agli altri come un pensatore non originale, che si limitava a riproporre teorie già formulate in passato. «Le nostre teorie» – egli scrive – «non sono nuove né di oggi, ma sono state pensate da molto tempo anche se non in maniera esplicita e i nostri ragionamenti sono l’interpretazione di quelli antichi, la cui antichità ci è testimoniata dagli scritti di Platone». Sant’Agostino stesso affermerà che Plotino è un «Platone tornato nuovamente in vita» (Contra Academicos, III, § 18). Tuttavia, come scrive Francesco Chiossone, gli studiosi di Plotino sanno bene che egli «fu molto più che un emulatore»; il filosofo greco, infatti, «seppe concepire un sistema speculativo mirabile per coerenza e profondità, ristabilendo il primato della metafisica e contribuendo così in maniera decisiva alla rinascita del Platonismo».
Per avere un piccolo assaggio della capacità di Plotino di trasmettere e rielaborare la grande tradizione filosofica che lo precede, è possibile leggere il suo trattato su L’immortalità dell’anima, recentemente pubblicato dall’editore Il melangolo. Il testo è un breve estratto delle Enneadi e lo scopo delle sue pagine, come si evince chiaramente dal titolo, è quello di «dimostrare l’immortalità dell’anima deducendola dalla sua incorporeità». La potenza concettuale che Plotino esibisce è indubbia; si tenga tra l’altro presente che «il repertorio di argomenti di cui si serve qui Plotino continuerà a essere utilizzato da filosofi e teologi dei secoli futuri».
Ma quali sono esattamente le prove che Plotino adduce in favore della tesi dell’immortalità dell’anima? Innanzitutto egli esclude che l’anima sia un corpo o un aggregato di corpi. «La vita appartiene necessariamente all’anima», nota infatti Plotino; «ora, quale potrebbe essere un corpo di per sé dotato di vita? Il fuoco, l’aria, l’acqua e la terra sono di per sé inanimati», e «non esistono altri corpi oltre a questi. […] Ma se nessuno di essi possiede la vita, è assurdo dire che la loro unione crea la vita», così come è assurdo identificare l’anima a uno di essi. Se è impossibile che «un ammasso di corpi generi la vita», «ancora più impossibile», per Plotino, è che «cose senza intelligenza diano origine all’intelligenza». In sintesi: «il corpo non genererà mai l’anima».
Non essendo un elemento, un corpo o un aggregato di elementi o di corpi, l’anima è necessariamente semplice, incorporea, immateriale: «quest’essere», scrive Plotino, «non ha a che fare né con la quantità né con la massa, e la sua essenza è di tutt’altra natura». Ma questo implica che l’anima non possa essere annientata in alcun modo. Spiega infatti Plotino: «tutto ciò che, venendo all’esistenza, implica una composizione, si dissolve poi naturalmente negli elementi di cui è composto; ma l’anima non finirà così, perché è una, semplice, e la sua natura consiste nel vivere in atto. Forse potrebbe morire se fosse divisa e frantumata, ma, come si è già dimostrato, l’anima non è una massa né una quantità. Potrebbe allora andare distrutta se subisse una qualche alterazione; l’alterazione, però, quando è causa di distruzione, sopprime la forma ma lascia intatta la materia e questo accade solo a un essere composto. Se dunque l’anima non può essere intaccata in nessuno di questi modi, sarà necessariamente incorruttibile».
Plotino fornisce anche altre prove dell’immortalità dell’anima. Una di esse è basata sul principio per cui “il simile conosce il simile”. L’anima – argomenta Plotino – non conosce solo cose finite, materiali e divenienti: essa, col proprio pensiero, può concepire e contemplare anche gli «esseri celesti e […] quelli ultracelesti, cercando di ogni cosa l’essenza e risalendo fino al primo principio». L’anima, cioè, è in grado di oltrepassare col pensiero le cose temporali e di affacciarsi sulle realtà eterne. Questa sua capacità «fa sì che l’anima, partecipando di conoscenze eterne, sia anch’essa eterna». Infatti, – si chiede Plotino – come potrebbe ciò che è corporeo pensare l’incorporeo? Come potrebbe ciò che è mortale avere notizia di ciò che è eterno? Solo il simile può conoscere il simile; sicché, se l’anima conosce non solo cose caduche, ma anche cose atemporali, divine ed eterne, ciò accade perché evidentemente lei stessa è un che di divino e di eterno. «L’anima coglie l’eterno con ciò che essa ha di eterno», scrive infatti Plotino.
Un’altra prova si sviluppa a partire dalla considerazione che l’anima è principio di vita, e dunque vita per essenza. Che l’anima sia principio (cioè causa e sorgente) di vita, e in particolare principio della vita dei corpi, è innegabile. Infatti, poiché gli elementi che compongono i corpi sono inanimati, lo saranno anche i corpi che tali elementi vanno a formare. L’animazione, la vita, il movimento e in generale ogni forma di “attività” provengono quindi da qualcosa che, pur “abitando” elementi e corpi, non è un elemento o un corpo. «L’anima», scrive Plotino, «è il principio del movimento, e fornisce il movimento alle altre cose, mentre lei si muove da sé; e inoltre dona la vita al corpo […], mentre lei la possiede da sé, e non la perde proprio perché la possiede da sé». L’anima non può morire appunto perché, essendo principio di vita, «non può certo ricevere il contrario di ciò che apporta», ovverosia la morte.
Se l’anima morisse, infatti, essa accoglierebbe in sé la morte, ne verrebbe invasa, e quindi la vita sarebbe morte, nel senso che la vita, che l’anima è, si identificherebbe alla morte, e quindi al proprio altro. Ma che qualcosa (in questo caso la vita, la non-morte) sia identico al proprio altro (la morte, la non-vita) è, anche per Plotino, un assurdo; anzi, la definizione stessa dell’impossibile, di ciò che non può aver luogo. Ne segue che l’anima, in quanto è principio di vita, è vita inestinguibile e immortale.
Gianluca Venturini
Sono nato a Treviso nel “lontano” 1989. Durante gli ultimi anni di Liceo ho scoperto la filosofia. Fu in qualche modo amore a prima vista, ma non potevo certo immaginare che di lì a poco sarebbe diventata una delle grandi “luci” della mia vita. Stregato dalla profondità inaudita dei pensieri che scaturivano da tale disciplina e conquistato dalla grande libertà intellettuale che essa rendeva possibile, decisi di seguirne le tracce iscrivendomi all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove mi sono laureato prima in Filosofia nel 2011 e poi in Storia nel 2013. Attualmente sto completando gli studi che mi porteranno a conseguire la laurea magistrale in “Filosofia della società, dell’arte e della comunicazione”.
BIBLIOGRAFIA
Plotino, L’immortalità dell’anima, trad. di F. Chiossone, Il melangolo, Genova 2017
[L’immagine è una rielaborazione digitale del quadro di W.A. Bouguereau, Psyche et l’Amour (1889) – immagini tratte da Google immagini]