Il 10 dicembre è la giornata internazionale per i diritti degli animali, istituita dall’ONU nel 1998. Può sembrare didascalico evidenziarlo, ma la data è interessante perché lo stesso giorno (10 dicembre) ricorre anche la giornata internazionale dei diritti umani, istituita giusto un po’ prima (1948): un parallelismo che non vuole convincere di un’uguaglianza, ma sottolineare come l’egoismo umano non sia più oggi compatibile (almeno in linea teorica) con il maltrattamento degli altri esseri viventi. La domanda più corretta sul tema dei diritti per gli animali, quindi, oggi non è più se ne abbiano e perché li dovrebbero avere, ma quali animali hanno diritti e quali diritti hanno questi animali.
La questione non è di certo recente, visto che già nell’antica Grecia c’era qualcuno che si poneva il dubbio della legittimità di mangiare animali1. Particolarmente interessante è approfondire come l’illuminismo abbia paradossalmente riportato in auge questo tema, e ancora di più constatare il legame stretto che nel Sette e Ottocento si è instaurato tra alcuni movimenti femministi e l’antispecismo2 (cioè la discriminazione sulla base della specie, e quindi degli animali non umani rispetto agli animali umani, cioè gli esseri umani). Il primo testo esplicito sui diritti degli animali infatti è del 1892, scritto dal filosofo inglese Henry Salt, il cui pensiero è sintetizzabile nel fatto che «l’affermazione dei diritti degli animali fa parte di un più vasto movimento per il progresso sociale e si inquadra, come una sorta di ultimo capitolo, nella lotta generale per la conquista di nuovi diritti» (L. Battaglia, Bioetica, p. 111). Lo stesso concetto ci traghetta alla fine del secolo scorso con il filosofo Peter Singer e il suo Liberazione animale del 1975, per il quale una volta messi da parte (di nuovo almeno nella teoria) razzismo e sessismo, lo specismo diventa l’argomento di lotta successivo, in un continuo esercizio tutto umano di allargamento dei nostri orizzonti morali.
E quindi, quali animali e quali diritti? Il Rapporto Italia 2024 dell’Eurispes3 racconta che gli italiani sono contrari alla vivisezione (76,6%), alla caccia (72,9%), alla produzione e all’uso delle pellicce (78,3%) e all’utilizzo degli animali nei circhi (78,1%). Nel 37,3% delle case italiane si trova almeno un animale da compagnia, ritenuto da oltre il 90% del campione un membro effettivo del nucleo familiare, e nel 39,7% dei casi che riguardano cani e gatti, questi sono stati scelti in canile/gattile oppure salvati dalla strada. Per quanto riguarda l’alimentazione, è vegetariano (cioè non mangia animali) il 7,2% degli italiani e vegano (cioè non mangia animali né derivati animali) il 2,3%: complessivamente quindi chi non mangia animali è il 9,5% della popolazione, in netto aumento rispetto al 2023 in cui erano il 6,6%; inoltre il 5% ha dichiarato di essere stato vegetariano in precedenza.
Questi tanti e un po’ noiosi numeri spiegano il perché anche il nostro Paese si sia dotato di regole e norme che tutelino la salute animale (che per altro compare già nell’articolo 9 della Costituzione, in vigore quindi dal 1948), ma al contempo indicano una strada ancora lunga da percorrere nell’ampliamento non solo della sfera dei diritti ma anche delle specie animali che possono goderne. Ampliare i diritti degli animali non significa voler approdare a un’uguaglianza normativa tra le specie animali e quella umana ma semplicemente riconoscerli come esseri senzienti e portatori di interessi. Infatti, come ricorda la bioeticista Luisella Battaglia, «il diverso va difeso non rendendolo simile a noi ma assumendolo precisamente nella sua diversità» (L. Battaglia, op.cit., p. 121). Basta quindi rapportare gli animali ai nostri parametri di giudizio, altrimenti sarebbe come dire che hanno diritti solo quelli che si comportano come noi, manifestano ragionamenti simili ai nostri, sognano, usano parole umane ecc. Del resto, sottolineava già Jacques Derrida, quale infinità di forme, modi, espressioni, linguaggi, abitudini completamente diverse sono racchiuse nella parola animale? Formiche, elefanti, delfini, tigri, cani, pipistrelli, api, agnelli… quale incredibile ricchezza di mondi, quanto da imparare da questa vastità di vita! La reductio ad unum dell’animale, si chiede quindi Luisella Battaglia, è già forse la prima forma di violenza che manifestiamo nei loro confronti.
Per questo alcune associazioni oggi sono scese in piazza: per ricordare che a cambiare deve essere la prospettiva prima ancora della normativa; e poi che la normativa deve seguire la volontà popolare. C’è ancora molto da fare: vivisezione, test farmaceutici e cosmetici, caccia, circhi, modalità di trasporto animali vivi, allevamenti intensivi, incidenti stradali, contenimento malattie infettive… La strada è lunga, ma a quanto pare, se ci sembra di perdere l’ottimismo, possiamo voltarci indietro e notare quanto siamo andati avanti.
1 – Illuminanti, da questo punto di vista, sono i tre brevi saggi di Plutarco pubblicati da Adelphi con il titolo Del mangiare carne. Trattati sugli animali.
2 – Per approfondire consiglio il recente saggio di Federica Timeto, Animali si diventa. Femminismi e liberazione animale.
3 – https://eurispes.eu/news/risultati-del-rapporto-italia-2024/