Traffico, un giorno d’estate, l’aria calda mi congela i pensieri.
Una fermata degli autobus come tante, la solita fermata a cui mi dirigo abitualmente per tornare a casa. Ho appena sostenuto un esame, a dir la verità è uno degli ultimi; le mie sensazioni quando penso che sto per finire un percorso mi risvegliano gli istinti più interiori e mi percorrono.
Vedo intorno a me persone, più o meno distratte. Dai pensieri, dagli impegni, dalla vita fin troppo ordinaria.
La vita ci lascia poca follia. Ci lascia troppe cose a cui affidiamo un’importanza immeritata. Navigo con le preoccupazioni del giorno, tra il pensiero del mio futuro e i ricordi del mio passato prossimo. Navigo egoisticamente, vedendo gli altri senza guardarli.
Forse per caso, forse per sensazioni diverse dal solito, vedo un paio di occhi azzurri. Un paio di occhi che mi colpiscono, perché diversi dagli altri. Sono profondi pur essendo chiari, hanno la profondità di chi si sente diverso in una società di uguali, o presunti tali.
La ragazza che ho davanti avrà dodici anni. Mi sorride con i suoi occhioni, so già che nei suoi pochi anni la vita la conosce molto più di me. Mangia dei biscotti sorridendo, di certo non si fa le consuete paranoie che scandiscono le mie giornate quando ingerisco qualche caloria in più.
– Mangerai a pranzo oppure non avrai più fame? – le chiede la madre seduta accanto a lei.
– Ho una gran fame mamma. Mangiamo vero a casa? –
– Basta che tu poi non faccia i soliti capricci –
La ragazza che ho di fronte ha i capelli di un biondo cenere che le cadono alle spalle. Ha un sorriso che potrebbe conquistare il mondo, ha le mani che affondano nel sacchetto che tiene stretto. Ha la capacità di assaporarsi gli attimi come quei biscotti che le piacciono tanto. Credo siano al cioccolato, a forma di cuore forse.
Per la prima volta oggi guardo senza vedere. Guardo i suoi sogni e ad un certo punto la sento parlare nella mia direzione.
– Fai l’università? –
Sono oggetto della sua curiosità, di quella curiosità innocente che agli umani sembra quasi non concesso avere ancora.
– Sì, giurisprudenza –
– È noiosa vero? –
La spontaneità a volte arriva quasi ironicamente al momento giusto.
– Sembra, eppure puoi farci un sacco di cose –
– Io vorrei curare gli animali, ma ai miei amici fa ridere quando lo dico –
– Forse sono solo invidiosi del fatto che tu così giovane sappia già cosa fare –
Sorrido, non mi viene da ridere.
La ragazza che ho di fronte ha dei sogni più grandi di quelli che hanno gli adulti stessi, ha un pensiero che dice che ce la farà, ha una percezione della sua vita che la porta già a poterci sperare. Non spera tanto per farlo, ma spera nella propria realizzazione. Nonostante la sua età, nonostante le sue paure, nonostante tutti pensino che “sono solo sogni”. E quante volte ci siamo visti guardare come se i nostri fossero solo sogni e noi fossimo gli unici a crederci. E quante volte qualcuno ha riso delle nostre idee, perché troppo lontane e apparentemente intoccabili.
– Io mi chiamo Giada, tu? –
– Mi chiamo Cecilia .. –
Prima di aggiungere qualcosa arriva l’autobus che sta aspettando. La madre la prende per mano e lei mi dice “ciao” prima che io finisca la frase. Non so se ci vedremo ancora, chissà se la vita ci farà rincontrare per caso.
Giada è una ragazza affetta da sindrome di down, e questa diventa l’ultima cosa che ricordo di lei. Quel cromosoma in più non è che un pretesto di pregiudizio per l’ignoranza che dilaga nel mondo.
Mi piace pensare che sia quel cromosoma in più ad essere capace di insegnarci a sorridere una volta in più, perché ci viene dall’istinto. Mi piace pensare che sia quel cromosoma a muovere la paralisi del mondo. Mi piace che sia quel cromosoma che possa insegnarci a dire le cose come stanno, con i modi che ci appartengono di più. E ad accettare chi abbiamo davanti per ciò che è, per le aspirazioni che ha, perché ha un sogno che noi non sapevamo nemmeno che esistesse.
Cammino in questo giorno e il mio mondo non sembra più così problematico. Penso alle cose belle che mi aspettano e alle sfide che mi merito. Penso a chi incontrerò e a chi rivedrò nella mia vita. Penso alle difficoltà che avrò o alle cose belle che verranno.
E ricorderò spesso o ogni tanto, di avere un briciolo di quell’entusiasmo; il più autentico che io abbia mai visto.
Cecilia Coletta
UN BISOGNO SPECIALE
Non è mai facile raccontare qualcosa che viene generalmente percepito come una diversità. Non è semplice spiegare a tutti che sono più le cose che abbiamo in comune con le persone che additiamo come ‘diverse’, rispetto a quelle che ci differenziano da loro. Ancor più difficile infine, è riuscire a trattare tematiche come la sessualità e la sindrome di down, unendole tra loro in un’unica storia destinata al grande schermo. Il primo lungometraggio di Carlo Zoratti però ha il coraggio di parlarci proprio di questo e ha il merito di farlo senza moralismi e soprattutto senza voler dare nessuna lezione di vita. A metà strada tra il documentario e il road movie comico e avventuroso, “The special need” è stato uno dei titoli più apprezzati della scorsa stagione cinematografica. Un esordio indipendente ed efficace che non ha paura di prendersi molti rischi, riuscendo a evitare facili polemiche su una questione spinosa come questa. Il film di Zoratti racconta la storia di un viaggio alla ricerca e alla scoperta dell’amore. Enea è infatti un ragazzo affetto dalla sindrome di down che ha un disperato bisogno d’affetto da parte dell’universo femminile. Lui ama le donne, ma loro inevitabilmente lo respingono intimorite. Saranno Alex e Carlo, i suoi due amici di una vita, a portarlo in un viaggio indimenticabile fino in Germania, alla ricerca di una donna che sappia soddisfare il suo bisogno d’essere amato. “The special need” non scade nella banalità e nella volgarità della ricerca sessuale. Ha il pregio di lasciarla appena accennata, salvo poi superarla raggiungendo un livello più profondo: quello dell’amore. Un livello che ci fa capire quanto un solo cromosoma in più non possa cambiare in realtà quello che il nostro cuore prova e che è in fondo ciò che tutti gli esseri viventi riescono a provare: l’amore. Amore che abbatte le barriere della diversità, amore che per un ragazzo come Enea può sembrare un miraggio irraggiungibile ma che grazie all’aiuto dell’amicizia riuscirà in qualche modo ad apprezzare. “The special need” è un documentario che ci insegna ad amare e a riscoprire il valore dell’amicizia, guardando all’autismo non come a una diversità, ma solo come a un altro punto di vista che non può far altro che arricchire la mente di chi pensa di essere lui quello normale. Zoratti vince così molte sfide: una tra le tante è quella di essere riuscito ad ottenere un successo nazionale con un film quasi amatoriale. Se lo stile registico è per certi versi ancora acerbo in molti punti, quello narrativo riserva invece molte sorprese e confeziona una trama che si fa guardare con piacere, alternando momenti leggeri ad altri più intensi e profondi. La storia di Enea ci fa capire che tutti noi esseri viventi, in salute o in malattia, abbiamo un nostro bisogno speciale che ci rende uguali gli uni agli altri. Si tratta di un bisogno elementare, ma allo stesso imprescindibile: riuscire a trovare qualcuno che ci faccia sentire amati. Alla fine non importa quanti cromosomi possediamo, sono i battiti del nostro cuore quelli in grado di renderci tutti uguali e vulnerabili senza distinzioni.
Alvise Wollner