Esiste, all’interno di ognuno di noi, una parte inviolabile, inaccessibile.
Un cassetto interiore che chiudiamo ed apriamo meticolosamente con la chiave del cuore.
Nessuno può accedervi. Noi soltanto. E se qualcuno ci prova, restiamo con il fiato sospeso e poi iniziamo a balbettare. Un po’ come quando da piccoli ci veniva chiesto quale fosse il nostro sogno nel cassetto e ci sentivamo talmente disorientati che le nostre labbra non proferivano alcun suono, se non qualche “ehm..”, segno di incertezza. Un po’ anche come gli scritti autobiografici in cui il lettore può conoscere proprio tutto, ma dentro quel tutto ci si immerge nel niente..perchè anche qualora ci si mettesse a nudo, ci sarebbe sempre quella cosa lì che scivola via, che non può essere pienamente colta e compresa dall’altro, perché il vissuto individuale va al di là dei limiti dell’immaginabile.
Alcune psicologie lo chiamano Sé, l’Es, una natura mediale. Una dimensione talmente intima da non poter essere percepita, invasa, violata. Soltanto curata, protetta con il dono delle parole e della propria energia interiore.
Fiabe, miti e storie offrono un sapere e una comprensione che aguzzano la nostra vista in modo tale da permetterci di distinguere e di riprendere il sentiero tracciato dalla natura selvaggia. Gli insegnamenti che vi ritroviamo ci rassicurano: il sentiero non si è perduto, ancora conduce le donne sempre più in profondità, nella conoscenza del sé. Le tracce che noi tutte seguiamo sono quelle del Sé innato e selvaggio.
(Clarissa Pinkola Esés, “Donne che corrono coi lupi”)
La Estés è una nota psicanalista sudamericana di stampo junghiano che nei suoi libri cerca di aiutare la lettrice a ritrovare un percorso interiore che le permetta di ricostruire un’interiorità smarrita, violata, rotta in tanti piccoli frammenti.
La fauna selvaggia e la Donna selvaggia sono specie a rischio. Nel tempo, abbiamo visto saccheggiare, respingere, sovraccaricare la natura istintiva della donna. Per lunghi periodi è stata devastata, come la fauna e i territori selvaggi. Per alcune migliaia di anni, e basta guardarsi indietro perché la visione si ripresenti, resta relegata nel più misero territorio della psiche. I territori spirituali della Donna selvaggia, nel corso della storia, sono stati spogliati e bruciati, le caverne distrutte, i cicli naturali costretti a diventare ritmi innaturali per compiacere gli altri.
La fragilità del mondo femminile interiore deve essere salvaguardata e protetta. Troppe cicatrici rischiano di riaprirsi, troppe lacrime giorno dopo giorno vengono versate. Identità negate, libertà sottratte, completi annullamenti interiori. Delle catene hanno impedito per troppo tempo a queste “lobe” (le lupe, per la psicanalista), a queste donne selvagge, di esprimere senza vincoli la propria energia interiore, di sublimare la propria sofferenza in una forma artistica liberatoria e creativa.
Occorre permettere a questa lupa di danzare nella notte sulle note del ritmo della propria vita, liberandola da quel falso sé che si è costruita per soddisfare le aspettative altrui.
Coltivare il proprio giardino interiore è un diritto che donne e uomini indistintamente dovrebbero avere. Se alle prime non è spesso concesso, i secondi lo rifiutano.
Come sostiene anche Duccio Demetrio in “L’interiorità maschile: la solitudine degli uomini”, il genere maschile si distingue per la sua totale non curanza nei confronti della propria vita interiore : c’è chi si rifugia nell’iperattivismo, chi gioca il ruolo dell’eroe. Pochi sono gli uomini che rispettano quel “recede in te ipse” senecano e che fanno i conti con la propria interiorità, con i propri conflitti e frustrazioni.
Anche se fare i conti con se stessi implica coraggio, forza di volontà, impegno costante, il rischio di cadere, rompersi in mille pezzi di nuovo, risollevarsi, ricostruirsi. Salire e scendere le ripide scale della vita.
Sara Roggi
[immagini tratte da Google Immagini]