La cultura occidentale ha le sue radici nel mondo antico: analizzarlo può essere utile per comprendere meglio i libri e i lettori che ci troviamo di fronte oggi. Sempre più spesso sentiamo nominare personaggi o aneddoti della cultura classica nella vita di tutti i giorni, quindi ci siamo interrogati sul perché questo periodo continui ad avere una grande attrattiva. Lo abbiamo fatto con Valeria Parrella, scrittrice, drammaturga e giornalista italiana. La sua formazione è stata caratterizzata da studi umanistici, iniziando con il diploma al liceo classico per continuare con la laurea in Lettere Moderne all’Università Federico II di Napoli. Queste conoscenze arricchiscono i molti romanzi che ha scritto e che l’hanno portata a ricevere premi prestigiosi, come il Premio Campiello Opera Prima e il Premio Procida-Isola di Arturo-Elsa Morante. Da anni si occupa della rubrica dei libri di “Grazia” e collabora con “La Repubblica”.
Giorgia Favero – Il mondo antico continua a esercitare una certa presa nei lettori italiani. Sono le nostre origini e un passato di gloria che forse ci fa sentire più orgogliosi di un presente che su diversi aspetti è invece disastroso. Oppure no? Secondo lei che cosa va a ricercare il lettore del 2023 nelle storie dell’antichità?
Valeria Parrella – Secondo me cerca una chiave per interpretare il presente. Io credo che i classici, per funzionare come tali, siano sempre presenti e stia a noi scoprire dove stanno. Tutto il mito e l’epos ci aiutano ad avere delle chiavi di decodifica del presente: l’Antigone ci può aiutare per l’eutanasia, Eros per le relazioni, la storia di Tiresia per la transessualità e così via.
GF – Nel tuo bellissimo libro Fortuna, tratti appunto il tema della fortuna, la sorte del mondo antico. La tematica dell’individuo diviso tra libertà e condizionamenti esterni è molto cara alla storia della filosofia, dibattuta tra gli altri da Spinoza, Schopenhauer, Frankl e tanti altri. Dove pende secondo lei la bilancia tra libero arbitrio e sorte?
Valeria Parrella – Purtroppo sorte, però credo che si possa agire con il libero arbitrio per modificarla e, anche qualora il tentativo non avesse successo, il fatto di aver messo delle energie in circolo in quella direzione ci avrà comunque detto qualcosa di più su noi stessi.
GF – Si dice spesso che in Italia ci sono più scrittori che lettori. Grandi eventi come questo, pur con un’offerta effettivamente amplissima, dimostrano però che ci sono anche tante persone che resistono nella lettura. Che cosa si dovrebbe fare secondo lei per invitare i libro-scettici ad avvicinarsi un po’ di più a questo strumento?
Valeria Parrella – Secondo me i libri o si trovano in casa oppure a scuola. Effettivamente l’offerta di libri è molto varia e il libro prevede un’attività del lettore, mentre una serie tv è più facile, ti metti lì davanti e in qualche modo la sorbisci. Quindi bisogna dare gli strumenti alle persone perché possano ancora trovare accattivante il libro. Per la scrittura è la stessa cosa: chi legge pensa che la lettura sia una cosa di prestigio, che lo fa stare bene e quindi cerca di riprodurlo scrivendo.
GF – Abbiamo parlato di Narciso, secondo lei leggere e scrivere storie è uno specchio per conoscere meglio sé stessi o, al contrario, un invito ad alzare gli occhi dal nostro laghetto e guardare oltre?
Valeria Parrella – Nel mio caso io alzo gli occhi e guardo tutto il laghetto, poi se ci sono riflessa anche io mi guardo. Lo specchio funziona sempre nella scrittura, ma io credo che sia molto di più, che sia un vedere come noi funzioniamo rispetto a un mondo esterno. Quindi, se vediamo la scrittura come uno specchio, io sono dentro lo specchio però attorno a me viene riflesso anche il resto del mondo.
[Photo credits Sara Lando]