Dal prossimo anno accademico all’Università Ca’ Foscari di Venezia parte, primo in Italia, un nuovo corso di laurea in Environmental Humanities, ovvero Scienze Umane Ambientali. Ma di cosa si tratta?
Diverse discipline convergono in questo innovativo campo di studi, modificandolo ma al contempo trasformando se stesse mentre si fondono. Per fare un esempio, l’emergere dell’ecocritica ha modificato il modo in cui la critica letteraria guarda a se stessa1. È però mia intenzione, in questa sede, concentrarmi sull’aspetto filosofico delle Scienze Umane Ambientali. Infatti, la maggior parte dei principali concetti di questa disciplina può trovare un terreno comune nella Filosofia, la cui caratteristica è sempre stata quella di voler abbracciare i vari aspetti del reale. Tuttavia, deve essere una nuova Filosofia, altrimenti rischiamo di ricadere in quei pregiudizi che hanno caratterizzato il pensiero occidentale per secoli, e che hanno portato ai problemi ambientali che affrontiamo oggi. Voglio perciò concentrarmi su una corrente di pensiero che si è sviluppata negli ultimi anni: il postumanesimo. In particolare, la “svolta postumana” è stata definita come «la convergenza del postumanesimo con il postantropocentrismo» (S. Bignall e R. Braidotti, Posthuman ecologies, 2019).
Al fine di costruire una base per una Filosofia innovativa, è necessario volgere lo sguardo alla Storia della Filosofia occidentale e analizzare ciò che ha portato agli attuali problemi sociali e ambientali. «Mentre le critiche all’antropocentrismo denunciano la gerarchia delle specie che culmina nell’eccezionalità e nel privilegio umani, il postumanesimo impegna più specificamente una critica dell’ideale umanista di “Uomo”» (ivi). In questo modo Rosi Braidotti e Simone Bignall presentano la raccolta Posthuman ecologies, che colleziona opere di diversi autori provenienti dalle più svariate discipline.
Secondo gli autori della “svolta postumana”, tutti i diversi atti di violenza si intrecciano. Perciò, nel momento in cui proviamo a trovare, dal punto di vista delle discipline umanistiche, soluzioni ai problemi ambientali che affrontiamo oggigiorno, non possiamo superare il pregiudizio antropocentrico senza sconfiggere quelli patriarcale, eurocentrico e universalistico. Per questo motivo, le nuove discipline umanistiche non possono non prendere in considerazione i movimenti indigeni e le teorie eco-femministe. Potrebbe sembrare infatti che, una volta superato (anche se ancora in forma solo concettuale) il pregiudizio antropocentrico, gli altri tipi di violenza svanirebbero con esso. Ovviamente, assumere un punto di vista ambientalista può aiutare, ma non penso sia così meccanico. Ad esempio, dobbiamo considerare che la ricchezza su cui stiamo basando le nostre nuove “economie verdi”, la nostra innovazione tecnologica verde, è ancora basata sullo sfruttamento di altre popolazioni, come i movimenti indigeni cercano costantemente di ricordarci. Allo stesso tempo, nei nostri paesi democratici e “sviluppati”, il patriarcato è ancora pervasivo: la violenza epistemica è difficile da combattere, e il primo passo è non dimenticare che la vera uguaglianza è ancora lontana dall’essere raggiunta. Il termine stesso antropocene, a indicare l’epoca geologica in cui viviamo, è stato oggetto di contestazioni: oltre al fatto che non è ancora pienamente accettato dalla comunità scientifica dei geologi, molti pensatori stanno criticando l’estensione di questa operazione concettuale: chi è il soggetto dei problemi che stiamo affrontando oggi? La specie umana nella sua interezza? O solo una parte di essa, la più forte? Braidotti risponderebbe con una sola parola: l’Uomo, dove la lettera maiuscola evidenzia l’idea dominante dell’uomo maschio, occidentale, adulto, bianco, eterosessuale e ricco.
Il pensiero ecologico è caratterizzato dalla volontà di trovare le interdipendenze e le connessioni tra gli elementi di un ecosistema. Quindi, dando ascolto alla premonizione di Felix Guattari, che, ancora nel 1991, pubblicò Le tre ecologie, non dovremmo mai dimenticare gli aspetti sociali e persino psicologici del vasto ecosistema in cui viviamo.
Le Scienze Umane Ambientali hanno l’opportunità di affrontare la crisi ecologica da un nuovo punto di vista. Tuttavia, se tale disciplina emergente vuole sfruttare al massimo le proprie basi di sapere e i propri strumenti, deve rinnovare le discipline umanistiche tradizionali da cui è nata. In questo processo, una radicale trasformazione dall’interno della disciplina più ambigua, la Filosofia, può aiutare molto. Infatti, se le Scienze Umane Ambientali vogliono affrontare in modo davvero rivoluzionario le sfide più urgenti della contemporaneità, devono diventare, almeno in parte, Scienze Postumane Ambientali.
Petra Codato
NOTE
1. Estremamente interessante su questo tema è la seguente raccolta: C. Salabè (a cura di), Ecocritica: la letteratura e la crisi del pianeta, Donzelli editore, Roma 2013.
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