Da giovedì 3 a domenica 6 ottobre Treviso ospita la nuova edizione del festival Sole Luna. Un viaggio unico nel cinema del reale alla scoperta di film provenienti da ogni parte del Mondo in grado di offrire una panoramica mai banale e scontata sull’attualità e sul ruolo sociale e politico del genere documentario. In attesa della serata inaugurale, abbiamo intervistato i direttori artistici Chiara Andrich e Andrea Mura per capire quali saranno i grandi temi dell’edizione di quest’anno.
Con quale filosofia è nata l’edizione che prende il via oggi a Treviso?
Andrea Mura: Quest’anno, innanzitutto, abbiamo compattato le giornate del festival, durerà infatti quattro gironi, dal 3 al 6 ottobre, rispetto alla consueta settimana degli scorsi anni. Per fare ciò abbiamo aggiunto una terza location a quelle di Ca’ dei ricchi e alla Chiesa di San Gregorio Magno, è quella suggestiva degli Spazi Bomben della Fondazione Benetton Studi e Ricerche, e questa è un’altra novità di quest’anno. Porteremo poi come sempre tante prime visioni per la città e film internazionali di grande valore estetico e tematico, che saranno, ne siamo certi, da stimolo per il nostro numeroso e affezionato pubblico. I film proiettati saranno 28 suddivisi nelle sezioni: “Il viaggio”, “Diritti Umani” e “Corti”. Novità di quest’anno è la sezione dedicata a registi veneti che abbiamo chiamato Veneto Doc. La chiusura del festival è dedicata ad un omaggio ad un classico del cinema come Murnau, di cui proietteremo il film Tabù, sonorizzato dal vivo da Roberto Durante (tastiere), Moulaye Niang (percussioni), Alvise Seggi (contrabbasso) e Florent Manneveau (sassofoni)
Cinema del reale: quali sono i film del festival che, secondo voi, indagano in maniera più interessante il rapporto con l’attualità?
Andrea Mura: Tutti i film che presentiamo hanno un legame marcato con l’attualità, ma in particolare citerei Congo Lucha di Marlène Radaud, che racconta di una ribellione pacifica contro il presidente congolese e il suo attaccamento al potere; poi mi viene in mente People of the wastland di Heba Khaled che racconta il caos della guerra siriana, in prima persona e con l’utilizzo di un semplice go-pro, un film che non può lasciare indifferenti; Island of the hungry ghosts di Gabrielle Brady che attraverso un racconto impeccabile e una metafora audace ma potente ci racconta di una struttura detentiva in Australia per richiedenti asilo.
Com’è cambiato in questi anni il dialogo tra il festival e la città di Treviso?
Chiara Andrich: Il festival si svolge a Treviso da 6 anni e si è creato un pubblico affezionato che ogni anno risponde con più calore. Sole Luna inoltre ha tessuto una serie di relazioni con associazioni ed enti cittadini che sono imprescindibili per un dialogo costante sulla programmazione culturale e che creano una rete solida e capace di confrontarsi su diversi temi. Fin dal 2014 Sole Luna collabora con TRA-Treviso Ricerca Arte e dal 2018 con Cattedrale Treviso Eventi Arte e Cultura e Fondazione Benetton Studi Ricerche. Questi tre partner permettono quest’anno la realizzazione del festival mettendo a disposizione le loro sedi. Il festival ha contribuito inoltre alla nascita della rete Treviso Festival che ha portato a mutue collaborazioni in particolare con Treviso Suona Jazz e i due festival autunnali: TCBF, festival di illustrazione e fumetti, e Carta Carbone, festival della letteratura autobiografica. Inoltre molte sono state le collaborazioni anche durante il corso dell’anno con Galleria delle Prigioni, Cooperativa La Esse, Una Casa per l’uomo, Coordinamento LGBTE Treviso, Cineforum Labirinto, AltroMercato.
“Lo sguardo è un legame senza distanza” diceva Sartre. In quest’ottica, quali sono i documentari di Paesi che pur essendo lontanissimi tra loro, vi hanno sorpreso per i loro punti in comune?
Chiara Andrich: Ci sono due opere prime che si avvicinano molto per stile di racconto e per la volontà di descrivere la ricerca della propria identità. Sono Paju di Susanne Mi-Son Quester e The fifth point of the compass di Martin Prinoth. In entrambi i film i registi raccontano la storia in prima persona, una storia personale. Mi-Son Quester, di madre coreana e padre tedesco, intraprende un viaggio in Corea alla ricerca delle proprie origini e interrogandosi sugli effetti della divisione tra Corea del Sud e del Nord. Martin Prinoth invece racconta la storia del cugino di origine brasiliana adottato e cresciuto nelle valli ladine ed oggi alla ricerca della propria madre biologica in Brasile. Altri film si avvicinano per lo stile con cui seguono i propri personaggi e raccontano la storia: Beloved dell’iraniano Yaser Talebi, Hoa dell’italiano Marco Zuin e ancora Island of the hungry ghosts dell’australiana Gabrielle Brady ci conducono attraverso una capacità di osservazione straordinaria e delicata dentro i mondi di tre donne completamente diverse tra loro nel loro ambiente di lavoro.E ancora altri film come Laila at the Bridge dei registi afghani Elizabeth e Gulistan Mirzei e What Walaa wants della danese Christy Garland ci raccontano l’urgenza di alcune tematiche: la tossicodipendenza in Afghanistan e la questione israelo palestinese. Altra riflessione da fare è sullo sguardo delle donne, dei 28 film presentati 16 portano la firma di una regista donna e 7 hanno per protagoniste donne straordinarie. Reduce dal successo al Biografilm di Bologna, è in concorso al festival e sarà presente alla proiezione anche la palermitana Ester Sparatore che con Those who remain racconta le denunce e le proteste delle donne tunisine per i mariti, i figli, i fratelli scomparsi mentre emigravano in barca verso l’Italia durante la primavera araba. Sarà presente anche Martina Melilli con il suo primo lungometraggio My Home, in Lybia. Ripercorrendo i passi del nonno, nato a Tripoli e costretto con la famiglia a lasciare il paese all’improvviso nel 1970, dopo il colpo di stato di Gheddafi Martina Melilli con l’aiuto di un giovane libico contattato tramite i social media, raccoglie immagini di quella che è diventata oggi l’allora “casa” dei suoi nonni e fa un parallelismo tra la Libia di ieri e di oggi.
A inizio festival quali sono le vostre aspettative come direttori artistici per questa edizione?
Andrea Mura: Ci piacerebbe, oltre ovviamente ad avere un numeroso pubblico, che questo pubblico uscisse dalla sala con delle domande, delle curiosità nuove, con la voglia di nuovi confronti, letture, viaggi alla scoperta dell’ignoto. Detta così potrebbe sembrare una frase ad effetto, invece negli anni, anche grazie al lavoro capillare fatto nelle scuole cittadine, ci è capitato spesso di avere soprattutto dai giovani un feedback in questa direzione: ci sono dei film che ti possono aprire dei mondi che non pensavi potessero esistere o interessarti e quando questo avviene vieni ricompensate da tutte le fatiche che fare un festival comporta. Uno dei compiti fondamentali del cinema del reale è a nostro avviso quello di dar voce a chi non ce l’ha e anche in questa sesta edizione di Sole Luna Sguardi Doc speriamo di poter dare un segnale in questa direzione, forse ostinata e contraria come cantava un grande chansonnier, ma per noi imprescindibile e che da senso al nostro lavoro.
Alvise Wollner