Praticare la filosofia ed essere un amante della saggezza sembra essere per molti un atto strettamente legato al dialogo, il quale permette la generazione di un seme di verità tra gli interlocutori che si mettono in gioco. È per questo sentire comune riguardo al significato del fare filosofia che la maieutica socratica, il metodo con cui Socrate produceva il richiamo verso le idee intelligibili, è diventata celeberrima e si è erta a forma del filosofare par excellence. Si può credere che questo metodo ricerchi la verità attraverso un dialogo costruttivo con dei non ancora filosofi, con delle persone che ancora non sono iniziate ai misteri di questa scienza, affinché attraverso la confutazione dei loro errori esse siano “spinte” oltre le apparenze sensibili e siano messe nelle condizioni di guardare all’essere eterno che tutto fonda e tutto costituisce. Il pedagogo Socrate attua la sua procedura educativa attraverso l’ironia, con cui, pretendendo di essere ignorante su un dato argomento, costringe l’interlocutore a sostenere fino in fondo la sua tesi e a chiarirne tutti i presupposti impliciti.
Per capire più da vicino come funziona nella pratica il metodo socratico, si può guardare a uno dei primi dialoghi platonici, l’Eutifrone, dove un omonimo giovane è in procinto di accusare il padre di omicidio. Socrate incontrando il giovane fuori dal tribunale, inizia con lui una lunga conversazione sulla santità: «che cosa vuol dire esser pio?» e «quale definizione gli è più appropriata, così da poter riconoscere ogni volta quando qualcuno si comporta in modo pio o empio?». Socrate come di consueto si finge ignorante sulla questione della santità e poiché Eutifrone non ha paura della sua saccenteria, dichiarando di conoscere perfettamente ciò di cui si vuole discutere, la sua interrogazione può essere avviata. Esaminando l’animo di Eutifrone, per capire se la sua è una conoscenza vera o senza fondamenta solide, il filosofo dimostra al giovane come egli sia del tutto incapace di dare una vera definizione della santità (condizione fondamentale per dire di conoscere qualcosa) e di avere una profonda confusione intorno alla materia. L’interrogazione di Socrate si conclude da un lato portando all’evidenza le incertezze e i pregiudizi di Eutifrone, dall’altro facendo nascere in quest’ultimo un luccichio, un richiamo a procedere verso la verità, che ormai si affaccia a lui e a cui lui deve solo rispondere affermativamente. Visivamente questo cammino al di fuori dell’ignoranza e verso la luce della verità, sempre e comunque attuabile grazie all’aiuto di un maestro, è esemplificato dal mito della caverna, dal cammino ascendente di un prigioniero dall’oscurità di un rifugio sotterraneo alla trasparenza del paesaggio illuminato dal sole.
Ma, si può essere veramente certi che questo metodo sia il più adatto a fare filosofia e che esso permetta nel modo migliore di attingere una verità come frutto della propria ricerca interiore? In generale, sì; assolutamente sì. Fare e praticare la filosofia è un dialogo per giungere comunemente a una verità che non è predata e predeterminata, ma nasce e cresce nel lavoro che siamo disposti a sopportare per scoprirla. Nello specifico, no; assolutamente no. Perché Socrate non attua un vero processo dialogico con coloro che fungono da suoi interlocutori, ma si limita al contrario a procedere dritto per la sua strada costringendo questi ultimi a seguirlo, acconsentendo a tutto ciò che egli dice e afferma. Gli interlocutori, infatti, non sono che pupazzetti che sanno solamente dire sì o no, delle vuote figure di sfondo che servono solamente ad esaltare la saggezza illimitata del maestro, senza mai avere nessuna vera obiezione o contro-argomento per metterlo in difficoltà. Dov’è la lotta esteriore e la contesa interiore tra ciò che si credeva il vero e ciò che si dimostrerà esserlo veramente? Il metodo socratico è più una pretesa di dialogo, in cui la contingenza e l’imprevedibilità dell’evento, a cui si sta assistendo, sono neutralizzati per far spazio al dogmatismo di ciò che è fisso e da sempre orientato verso un fine prestabilito.
Concludendo, fare filosofia è dialogare. Platone attraverso il metodo socratico ci insegna il giusto. Tuttavia il suo dialogo meccanico e pretenzioso, in cui un Socrate fintamente ignorante e realmente saccente conosce tutte le combinazioni possibile del gioco in atto, è un modello sbagliato del come della pratica filosofica. E così tale come non può che essere un vuoto che ancora resta a noi lettori e studiosi da colmare.
Gaia Ferrari
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