Tra i numeri primi ce ne sono alcuni ancora più speciali. I matematici li chiamano primi gemelli: sono coppie di numeri primi che se ne stanno vicini, perché fra di loro vi è sempre un numero pari che gli impedisce di toccarsi per davvero. Numeri come l’11 e il 13, come il 17 e il 19, il 41 e il 43. Se si ha la sapienza di andare avanti a contare, si scopre che queste coppie via via si diradano. Ci si imbatte in numeri primi sempre più isolati, smarriti in quello spazio silenzioso e cadenzato fatto solo di cifre e si avverte il presentimento angosciante che le coppie incontrate fino a lì fossero un fatto accidentale, che il vero destino sia quello di rimanere soli. Poi, proprio quando ci si sta per arrendere, quando non si ha più voglia di contare, ecco che ci si imbatte in altro due gemelli avvinghiati, stretti l’uno all’altro. Tra i matematici è convinzione comune che per quanto si possa andare avanti, ce ne saranno sempre altro due, anche se nessuno può dire dove, finché non li scopre.
Due storie parallele. Due binari distinti che si incrociano senza realmente toccarsi. Due giovani tanto diversi e tanto accomunati.
Questo è il filo che lega Mattia e Alice, due numeri primi.
Gemelli.
Alice e un’infanzia in cui a seguito di un incidente rimane zoppa. Di giorno in giorno, di ora in ora, di sguardo in sguardo, ricorda di sentirsi storpia, mancante.
Senza una vera femminilità, senza una capacità di manifestare il suo essere donna. Non ha una camminata sinuosa Alice, non è capace di sostenere uno sguardo maschile, lo sente profondo soltanto di critica.
Non mangiare la porta all’anoressia, ad una situazione in cui rimane nascosta pur essendo viva. Nasconde la sua gamba, nasconde il suo incidente, nasconde se stessa.
Mattia è un bambino intelligente, silenzioso, riflessivo. E’ un bambino maturo, a cui è stata tolta dalla vita la spensieratezza dei bambini; al suo fianco c’è una sorella, Michela, affetta da una grave forma di autismo.
La ama, la protegge, ma un giorno – per non sentirsi rinchiuso e poco libero – la abbandona in un parco da sola, mentre lui si reca ad una festa con gli amichetti. Al ritorno Michela non c’è più, e non la ritroverà mai più. Per un incidente, per averla lasciata troppo sola: sua sorella non ci sarà più, e lui porterà dentro questa colpa per tutta la vita.
Mattia e Alice si conoscono, si vivono, si comprendono. Si trova la comprensione in due numeri primi reciprocamente gemelli, custodi di segreti e colpe troppo grandi.
Ci saranno l’uno per l’altro per tutta la vita, in una sorta di crescita individuale e condivisa.
Singhiozzi di incontri, sprazzi di amicizia, pur vivendo amore.
Dalla pena di Paolo Giordano, esce nel 2008 “La solitudine dei numeri primi”, romanzo riflessivo ed emozionante al tempo stesso.
Un viaggio in universi che sono sconosciuti alle persone più fortunate, un continuo introdursi di temi che portano a molte domande sul modo di vivere la vita e sull’essenza di essa.
Ci si può sentire – costantemente – soli? L’incomprensione pervade la parte più interna per ripercuotersi nella vita di ogni giorno?
Una ragazza condannata a sentirsi diversa e sola.
Un ragazzo con un peso di cui non si libererà mai.
Quanto ci si può comprendere senza parlare e senza conoscere ogni passo che il nostro interlocutore ha tracciato nella sua esistenza?
Lacrime che scendono mentre si legge questo scritto, lacrime di consapevolezza e di rabbia. Di volere di rivalsa e di introspezione risoluta.
L’abbandono di persone che si sentono diverse in una società che accetta solo gli uguali. Il peso del non potersi guardare intorno per non essere guardati.
Un muro altissimo costruito in anni e anni impossibile da abbattere; la vita di Alice e Mattia è un susseguirsi di dolori naturali e poco imposti.
E se il dolore molto spesso ti forma, troppo di frequente non ti lascia tregua. Ti affoga e ti destabilizza; ti abita e ti caccia fino ad inghiottirti.
“La solitudine dei numeri primi” è molto più che un racconto di esperienze condivise; è un breve ed intenso percorso di crescita. Ci lascia domande, ci rende amari i sapori e pesanti gli odori. Non ci fa vedere ma ci fa guardare. Non ci fa immaginare ma ci fa percepire.
E nasce la voglia di entrarci dentro, in quelle vite così sole. Perché al tatto potrebbero sembrare ancor peggiori, perché non vedendole nemmeno in lontananza ci rendono impotenti.
Spettatori dell’ingiustizia dell’ineluttabile.
Testimoni dell’incomprensione di un mondo fatto di colpi bassi e tiri mancini.
Avvocati di chi commette un errore e rimane a pagare tutta la vita.
Lo si legge per avvicinarsi a questi numeri primi che – pur condividendo la propria solitudine – rimangono esseri incapaci di sentirsi completi.
Viviamo convinti del fatto che ci debba per forza essere un numero primo che si ricerca per la vita intera, nelle esperienze più o meno facili. Quell’individuo che sente il medesimo senso di inadeguatezza che ci appartiene e che ci avvolge del suo per trasmetterci una semplice solidarietà.
I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per se stessi. Se ne stanno al loro posto nell’infinita serie di numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri.
Cecilia Coletta
[Immagini tratte da Google immagini]