Spinoza è uno dei quei punti della Storia della filosofia occidentale che difficilmente potranno essere dimenticato: è uno dei maggiori esponenti del razionalismo e ha anticipato moltissime delle tematiche e delle riflessioni che saranno proprie dell’Epoca dei lumi. Spesso ricordato e studiato per ciò che riguarda la sua metafisica – famosissimo il suo Deus sive natura – negli ultimi anni sta conoscendo un’enorme riscoperta anche per le sue teorie a proposito delle passioni umane – soprattutto dal punto di vista neurobiologico e delle scienze cognitive1 – permettendo un superamento dell’impostazione iniziata da Cartesio per la quale la mente sarebbe distinta dal corpo.
Per quanto riguarda la quotidianità dell’esistenza, affascinante può essere la riflessione di Spinoza in merito al finalismo, o meglio la sua critica. Il filosofo olandese, infatti, ritiene che l’insieme delle teorie (che egli crede false) in riferimento a Dio derivi tutto da un unico errore sostanziale, in cui ognuno di noi cade inconsapevolmente, appunto il finalismo, ovvero credere che Dio – o la natura – agiscano per un fine. Questo errore sorge da una mancanza umana, ovvero dal fatto che noi ignoriamo molte cose e, in particolare, non siamo a conoscenza della catena causale che ci conduce a una determinata azione; dunque ci crediamo liberi nella scelta dei fini. L’errore, perciò, è dato da qualcosa del quale siamo a conoscenza (ovvero che ricerchiamo l’utile) e da qualcosa che ignoriamo (le cause di questa ricerca, che ci porta a pensare sia una nostra libera scelta).
Da un lato, quindi, Spinoza denuncia la tendenza antropomorfizzante umana che crea un Dio e una natura a sua immagine. Gli esseri umani, infatti, giudicano la natura sul proprio modello e quindi credono che anch’essa, come loro, si muova verso un fine2. Gli enti naturali, non creati dagli esseri umani, sono perciò interpretati come costruiti sulla base della loro utilità per gli esseri umani. Perciò, essi sono convinti che esista un Dio, libero, che abbia creato l’esistente in questo modo per sua volontà.
Dall’altro lato, Spinoza attacca tutta la tradizione finalistica e denuncia la tendenza antropocentrica, che sfocia nuovamente nell’ignoranza. Il pregiudizio finalistico, infatti, anche senza le caratteristiche dell’antropomorfismo è tutto errato perché antropocentrico, ovvero crede che la natura abbia l’essere umano come suo fine. Inoltre, il finalismo genere una gigantesca obiezione: perché, infatti, se il fine è l’essere umano, allora esiste il male, in particolare per i giusti? La risposta classica a questa domanda è l’imperscrutabilità divina: «[…] avanti di questo passo non smetteranno di chiedersi le cause delle cause, fino ad andarsi a riparare nella volontà di Dio, ossia nel rifugio dell’ignoranza» (B. Spinoza, Etica, Pisa , ETS, 2014, p. 75). Dunque, per Spinoza, il finalismo nasce nell’ignoranza delle cause e termina nell’ignoranza dei fini.
Oltre a ciò, il pregiudizio finalistico ha un’ulteriore ricaduta sulla quotidianità dell’esistenza, ovvero sulla la nascita dei valori:
«Gli uomini, una volta persuasi che tutto ciò che si produce viene prodotto per loro, hanno dovuto giudicare che più di tutto contasse in ciascuna cosa ciò che a loro fosse più utile, e considerare superiori a tutte le cose quelle dalle quali erano maggiormente colpiti. A partire di qui hanno dovuto formare le nozioni in base alle quali spiegare la natura delle cose, ossia le nozioni di bene, male, ordine, confusione, caldo, freddo, bellezza e bruttezza […]» (ivi, p. 77).
Spinoza mostra come, se crediamo che la natura sia fatta per l’essere umano, allora saranno considerate buone quelle cose che fanno il suo utile, malvagie quelle che non lo fanno, creando una scala di valori (morali ed estetici) oggettiva degli eventi naturali. Ovvero: quell’evento naturale che faccia l’utile dell’essere umano, non viene considerato personalmente buono per l’essere umano ma viene interpretato come oggettivamente buono, creando una visione del mondo contraria alla rivoluzione scientifica. Seguendo quest’ultima, infatti, le percezioni sono soggettive: ad esempio, freddo e caldo sono soggettivi, mentre è la temperatura a essere oggettiva.
Andando dunque oltre alla tradizione che intendeva il finalismo come necessario nella spiegazione dell’ordine, Spinoza interpreta quelle nozioni come valutative, e non descrittive, e fa derivare tutta la gamma di valori dal pregiudizio finalistico:
«[…] la perfezione delle cose è da valutarsi unicamente in base alla loro natura potenza, ed esse non sono più o meno perfette a seconda che arrechino piacere od offesa ai sensi degli uomini, e che siano in conformità o in contrasto con la natura umana» (ivi, p. 79).
NOTE
1. Cfr. ad esempio la trilogia di Antonio Damasio: L’errore di Cartesio (Adelphi 1994), Emozione e coscienza (Adelphi 2000) e Alla ricerca di Spinoza (Adelphi 2003). In particolare, in quest’ultimo: «Laddove Cartesio separava l’intelletto dalle passioni, giudicate di natura inferiore, Spinoza in una premonizione biologica di inquietante modernità, vi riconobbe una medesima sostanza: “La mente è l’idea del corpo”» (ivi, Sinossi).
2. Attacco di Spinoza, questo, a tutta la tradizione finalistica – a partire almeno da Aristotele – secondo il quale «la natura non fa nulla invano» (Aristotele, Politica, I,1).
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