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Lo Stato perfetto in Psycho-Pass

Rispetto ad opere di ingegno come i romanzi, o d’arte come i film, gli anime talvolta possono far storcere alquanto il naso, considerati come sono dai più (in Occidente) come “cose da bambini”, quasi non possano avere la stessa “dignità” dei romanzi o dei film. A ben considerare, questo giudizio non è però del tutto errato: gli anime, le trasposizioni animate dei manga (ossia dei fumetti nipponici) sono effettivamente anche “cose da bambini”, nella misura in cui i contenuti in essi espressi possono avere come target di riferimento i fanciulli – come non citare in proposito, ad esempio, Captain Tsubasa (1983-1986), noto in Italia con il titolo di Holly & Benji, i due fuoriclasse, oppure Sailor Moon (1993-1997)? Ma, appunto, quel giudizio è anche erroneo, perché gli anime possono veicolare messaggi “da bambini”, oppure “da adulti”. E quest’ultimo è appunto il caso di Psycho-Pass (2012-2014).

Psycho-Pass: in questa sede non ci si occuperà di evidenziare tutti i temi “adulti” (pure, molteplici) affrontati dalla serie ma di analizzare il concetto di Stato che essa mostra, un’analisi che culminerà con la questione concernente la perfezione o l’imperfezione di quell’ordinamento giuridico che pur, e sin dal primo episodio dell’anime, pretende di essere senza criticità di sorta.

L’anno è il 2112. La tecnologia ha raggiunto vette sì remote da permettere agli esseri umani di delegare totalmente alle macchine attività fondamentali per la sopravvivenza come l’agricoltura – ciò che ha permesso al Giappone di raggiungere l’autosufficienza alimentare, che a sua volta ha condotto a una politica estera isolazionista. La tecnologia, ancora, ha raggiunto vette sì remote da permettere agli esseri umani di delegare alle macchine la salvaguardia della propria specie – mediante il cosiddetto Sybil System. Il nome è evocativo e niente affatto “casuale”: così come, nell’età classica, la Sibilla Cumana tentava di predire gli eventi interpretando la volontà del dio Apollo, allo stesso modo molti secoli dopo un sistema neurale predice se il carattere di un individuo sia tale da condurlo a compiere crimini che possano infrangere l’equilibrio sociale.

Questo insomma il Giappone del futuro raccontato dall’anime: una società perfetta nella quale vi è completo ordine sociale grazie al totale controllo esercitato dal Sybil System, che, attraverso la polizia, provvede a reprimere i cittadini il cui carattere presenti un coefficiente di criminalità oltre i limiti consentiti, e a reprimerli in due modi, o rinchiudendoli in centri di terapie comportamentali dai quali solo difficilmente potranno uscire, oppure, se il loro coefficiente di criminalità è troppo alto, uccidendoli.

È davvero una società perfetta, questa? Sembra piuttosto discutibile. Discutibile perché perfezione non è sinonimo soltanto di ordine, in primo luogo. Uno stato totalitario è, ad esempio, totalmente ordinato, ma forse che per questo si possa dire sia anche perfetto? No, certo che no. Un ordinamento giuridico può essere pensato come ideale se, in esso, ai cittadini è garantita la libertà di essere pienamente fini-a-sé, e se ad ognuno di essi le politiche statuali garantiscono le medesime possibilità di essere scopi in se stessi, in piena giustizia – l’assenza di conflitti che da ciò consegue è dunque solo uno degli elementi che contraddistinguono una società perfetta, che primariamente è tale perché è etica. Ma, e nonostante tutta la sua avanzatezza tecnologica, quest’ultima è una considerazione che non è sviluppata dal Sybil System, da tale elaboratore dati che sfrutta la sinergia simultanea di cervelli umani per agire – in effetti, è una sorta di biocomputer. Che, al contrario, ritiene di aver dato i natali ad una società perfetta – secondo la tesi, tanto logicamente corretta quanto moralmente riduttiva, che uno Stato sia ideale se nessun cittadino infrange la legge. Quando in realtà la Tokyo del 2112 da esso retta è solo una società perfettamente disumana.

 

Riccardo Coppola

 

[Immagine tratta da Unsplash]

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