Di tatuaggi, soprattutto in estate, se ne vedono a palate. Maori, disegni astratti, iniziali, frasi, veri capolavori dalle piccole definizioni, ce n’è per tutti i gusti. Avendone io stessa, mi capita spesso e volentieri di provare una sensazione alquanto fastidiosa quando scopro lo sguardo di uno sconosciuto mentre cerca probabilmente di indovinarne i significati. Per non parlare di quanti, con i quali non hai nemmeno un po’ di confidenza, il significato te lo chiedono prontamente con nonchalance. Per quanto mi riguarda, i tatuaggi li ho fatti per me e sebbene in certi periodi dell’anno diventino afferrabili dallo sguardo di chiunque, vorrei che restassero tali. Se me ne capita uno sott’occhio dunque, di solito lo guardo velocemente, e il più delle volte lo apprezzo tra me e me cercando di non farmi notare dal proprietario per non dover rischiare di apparire indiscreta.
Qualche giorno fa, però, il tatuaggio di una ragazza seduta in treno di fronte a me, mi ha dato da pensare: era una parola in greco, bibliophile, ben tatuata sul suo avambraccio. Bibliofilo, amante dei libri. Quella ragazza prova probabilmente un interesse così forte verso libri, lettura e scrittura, da arrivare a scrivere questo suo interesse, con inchiostro indelebile, sulla propria pelle. Quella ragazza ha voluto scritto su di sé non un disegno che le piace, ma una sua passione. Ha saputo andare oltre il piacere visivo ed estetico, ha voluto scrivere su di sé una parola che la descrive. Ha reso il suo corpo un veicolo per comunicare un messaggio.
Certo, ciò può avvenire ogni giorno in maniera del tutto naturale, in base a come ci pettiniamo, a come ci trucchiamo, a come ci vestiamo. Spesso questi elementi manifestano i nostri pensieri o i nostri stati d’animo, la nostra idea di noi stessi. Il tatuaggio dunque non fa altro che accentuare questa nostra naturale e legittima volontà. Come se vestiti, trucco e parrucco, ad oggi, non bastassero più. Vogliamo esporci agli altri e farci conoscere. E il tatuaggio è diventato un mezzo per rispondere a questa nostra esigenza senza farci fare troppa fatica. Il tatuaggio permette di attirare l’attenzione e la curiosità. Il tatuaggio ci descrive; in maniera più o meno diretta parla di noi; spiattella davanti agli occhi degli altri ciò che siamo, ciò che pensiamo di essere, o addirittura ciò che vorremmo essere. Il tatuaggio risponde al nostro bisogno di unicità. Perché quello di sentirci unici non è soltanto un desiderio, ma è un vero e proprio bisogno. Non ci basta sentirci unici, ma vogliamo anche essere riconosciuti come tali. Non ci basta sentirci unici per i nostri cari, ma vogliamo essere unici agli occhi di tutti.
Rispondendo al nostro bisogno di unicità, il tatuaggio riesce a rimediare ad una problematica ed esso intrinseca: se riesce a parlare direttamente del suo portatore, infatti, il tatuaggio si mantiene segno distintivo senza rischiare di essere marchio di conformismo. Il che vuol dire: unici e non omologati! Cosa c’è di meglio?
In conclusione sarebbe da chiedersi non le motivazioni alla base del nostro bisogno di unicità; questo è pienamente legittimo, e a dirla tutta ci consente di relazionarci in maniera positiva con la vita e le varie difficoltà che questa si porta appresso. Per provocazione, sarebbe invece da chiedersi: perché ci affanniamo tanto alla ricerca di espedienti vari per manifestare quell’unicità della quale siamo già portatori?
«L’uomo è a se stesso il più prodigioso oggetto della natura; perché non può comprendere che cosa sia il corpo, e ancor meno che cosa sia lo spirito, e meno di qualunque altra cosa come un corpo può essere unito con uno spirito.»
Blaise Pascal, Pensieri
Federica Bonisiol
[Immagine tratta da Google Immagini]