Moriamo un poco ogni giorno,
e ancora,
non vi è altro porto che la morte. Perciò non guardar male la condizione di tuo fratello: è in pace. Finalmente è libero, finalmente sicuro, finalmente eterno. Ora egli gode del cielo libero e aperto. […]Ti inganni: tuo fratello non ha perso la luce, ma ne ha trovata una più vera,
la vita non è breve, come afferma Seneca nel De Brevitate Vitae: è l’uomo a renderla tale quando disperde il tempo senza saggezza; nel tempo della vita che abbiamo a disposizione, infatti, noi dobbiamo cercare di crearci e di vivere una biografia unica e piena.
Esempio di questo stile di vita, di chi abbandonando ogni speranza di guarigione e ogni desiderio di prolungare la propria vita è Tiziano Terzani, giornalista e scrittore toscano, morto all’età di sessantasei anni per un tumore. La sua filosofia di morte può apparire al momento estremamente laica, in quanto decide di non sottoporsi a cure, di ritirarsi in casa cercando di allontanarsi piano piano da ogni cosa terrena, dagli oggetti ai familiari, non vedendo più futuro, né nella morte ma nemmeno nella vita, in quanto si sente estremamente soddisfatto e completo come uomo; ma se si approfondisce questa sua concezione di morte, quale nuova esperienza da provare -paradossale!-, come allontanamento sereno dal mondo terreno, si scoprirà che non vi è niente di più cristiano.
Terzani non parla mai di Dio, se esiste o non esiste, non parla di salvezza eterna dopo la morte, niente di tutto ciò. Ma in lui non vi è nemmeno rassegnazione, dolore, incapacità di accettazione; ecco perché, a mio avviso, Terzani è tanto più vicino alla fede di quanto si pensi. Il Cristianesimo ci presenta la sofferenza estrema come segno di imitatio Christi, dunque promessa di salvezza eterna: il tempo della vita è, quindi, sì limitato ma solo su questa terra. Ecco perché l’atteggiamento di colui che ha fede deve essere quello che ha avuto Terzani: non c’è dolore nella morte, c’è serenità, consapevolezza che il tempo per noi è limitato ma, una volta superata la soglia della morte, ci aspetta l’eternità. Terzani non sarà magari morto con la certezza di una vita in un mondo extraterreno, ma comunque se ne è andato con quella pacatezza, dignità e umiltà che dovrebbero essere proprie di un cristiano. L’approccio alla morte è invece più spesso quello di rifuggirla come inspiegabile e pertanto inaccoglibile ferita alla dignità.
Questi è, dunque, un personaggio che mi ha colpito molto, perché credo che insegni uno dei tanti modi per affrontare la malattia terminale e le parole seguenti, tratte dal suo ultimo libro dal titolo molto eloquente La fine è il mio inizio, ne sono testimonianza:
Guarda la natura da questo prato, guardala bene e ascoltala. […] Un grande concerto che vive di vita sua, completamente indifferente, distaccato da quel che mi succede, dalla morte che aspetto. […]Che lezione! Per questo io sono sereno. Da mesi dentro di me c’è un centro di gioia che irradia in ogni direzione. Mi pare di non essere mai stato così leggero e felice. E se mi chiedi: come stai? Ti dico: io sto benissimo, la mia testa è libera, mi sento meravigliosamente. Solo che questo corpo fa acqua […], marcisce. E l’unica cosa da fare è staccarsene e abbandonarlo al suo destino di materia che diventa putrescente, che torna polvere. […]come la cosa più naturale del mondo.
Da queste semplici parole di un padre malato rivolte ad un figlio si percepisce la più sconvolgente serenità di fronte all’ineluttabilità della morte. Non è rassegnazione quella di Terzani, è consapevolezza che il morire, o meglio come preferiva dire lui, il ’lasciare il corpo’, fa parte della vita. Appunto questa coscienza gli ha permesso di scegliere liberamente di morire in casa senza ricevere alcuna cura perché
[…]non vorrei vivere altri dieci anni. Per rifare tutto quello che ho già fatto? […]mi sono preparato a salpare per il grande oceano di pace e non vedo perché ora dovrei rimettermi su una barchetta a pescare […].
e ancora
[…]non ho più voglia di stare in questa vita, perché questa vita non mi incuriosisce più. […]Allora la morte diventa davvero…l’unica cosa nuova che mi può succedere, perché questa non l’ho mai vista, non l’ho mai vissuta.
La dignità umana, quindi, è vana se non ha la sua radice nel fatto che ogni essere umano è persona, ossia una sostanza individuale di natura spirituale, cioè occorre sempre riconoscere lo statuto di persona all’essere umano perché significa dire qualcosa di più della mera rilevazione empirica dell’umanità biologica dell’essere, esplicita i caratteri propri dell’essere umano spiegando il fondamento del suo valore e dei suoi diritti.
Valeria Genova
Immagini tratte da Google Immagini