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Tra filosofia e filosofIA: verso una produzione meccanica dei concetti?

Lo short film Robort inscena paradigmaticamente i timori che le IA possano prendere il nostro posto: non solo racconta di un essere umano (Robert) che gradualmente si vede espropriato di lavoro, compagna e vita dalle macchine, ma è proprio generato via IA da cima a fondo (per ora ancora tramite intermediazione umana). L’equivalente filosofico sarebbe un paper sulla possibilità che la filosofia ceda il passo alla filosofIA scritto direttamente da un’IA: è davvero così implausibile come può sembrare – oltre che indesiderabile?

Sia chiaro: a oggi, ChatGPT non può fare le veci nemmeno di un laureando particolarmente demotivato; ma tale limite è contingente o strutturale? Per capirlo, tocca chiedersi che cosa sia la filosofia, o perlomeno – impresa già più abbordabile – come si svolge l’attività riconosciuta come istituzionalmente filosofica. Andando all’osso, la risposta è che filosofare impegna nella lettura/scrittura di testi che discutono idee e delineano concetti in maniera più possibile esplicita, chiara e ordinata, bilanciando creatività e rigore. Stante ciò, non possiamo proprio ignorare che, per la prima volta nella storia, esistono dispositivi capaci di estrarre e riorganizzare informazioni da testi: ecco perché ci domandiamo non tanto se essi sappiano leggere/scrivere o meno, quanto piuttosto se siano capaci di farlo come noi – compreso con testi filosofici. È così o no, dunque?

Ecco una risposta genuinamente filosofica: la domanda va posta diversamente. Per discutere di deleghe, va anzitutto tenuta presente la distinzione fondamentale tra produzione e consumo1. Un’impastatrice meccanica domestica può ben fare il pane al posto nostro (seppur “imboccata” con ingredienti e settaggi), ma non può mangiarlo per noi: un conto è produrre testi filosofici, altro è consumarli. Magari, proprio lo sviluppo di una filosofIA dal primo lato ci porterebbe a scoprire che la fruizione dei concetti rappresenta per noi la parte più importante e irrinunciabile. Prendiamo il caso di impastatrice concettuale più estremo immaginabile, per quanto oggi appaia irrealistico: una filosofIA che abbia esplorato l’intero scibile riflessivo e sia riuscita a generare le risposte definitive alle più disparate grandi questioni – compresa quella su che cosa sia la felicità. Resterebbe pur sempre l’altra faccia della medaglia: comprendere e interiorizzare simili conoscenze, ossia farle nostre, in senso tanto intellettuale quanto pratico – apprendere la nozione di felicità è già una buona conquista, ma non equivale a essere diventati effettivamente felici.

Insomma, quando anche fosse stato prodotto l’intero archivio delle proposizioni filosofiche universalmente e definitivamente vere, ci sarebbe ancora da trasmetterlo e assimilarlo: fatto il pane, tocca distribuirlo e mangiarlo. Esattamente qui verrebbe fuori ciò a cui potremmo non voler rinunciare nemmeno se potessimo: il gusto di assaporare i concetti meccanicamente generati. Ovviamente, ammettere la filosofIA anche soltanto come produzione genera l’immediata levata di scudi: come a furia di delegare la preparazione del pane disimpariamo a farlo, così appaltare la produzione concettuale alla filosofIA ci priverebbe della capacità di concepire da noi, tramutandoci in meri consumatori passivi. Senza contare che si potrebbe dubitare che produzione e consumo siano così facilmente separabili quando si parla di filosofia, come se l’atto di riflettere potesse avere un fine esteriore e separabile dal suo stesso processo produttivo: lunga vita al luddismo, stavolta contro le macchine filosofiche!

Bisogna però sempre ridimensionare i proclami universalizzanti. Per esempio, non è detto che ogni aspetto della produzione possa o debba venire ugualmente delegato: le IA potrebbero rivelarsi più prestazionali nel costruire – come già accaduto con le immagini – librerie di stili filosofici del tipo “scrivere come se si fosse Platone, Kant, Kripke, …”, ma meno nell’elaborare un proprio stile. E, più in generale, come un’impastatrice di pane non obbliga a usarla tutti e sempre, così un’impastatrice concettuale non vincolerebbe chiunque ad affidarsi continuamente alla filosofIA, annullando ogni spazio per chi volesse cimentarsi con l’autoproduzione di idee. In tal senso, si potrebbe dispiegare uno scenario tipico di ogni mercato liberalizzato: anziché il monopolio tradizionale della filosofia, avremmo una differenziazione tra essa e una filosofIA che assurge al ruolo di consulente filosofico a disposizione di un più largo pubblico, che fino a ora non aveva facile accesso ai prodotti filosofici. E non è nemmeno detto che la filosofia diventerebbe un prodotto di nicchia più di quanto non lo sia già ora: non solo perché – miracoli delle preferenze soggettive – potrebbe scattare un effetto analogo al “ritorno del vinile”, ma anzitutto perché la torta, più che dividersi diversamente, potrebbe finire per aumentare, vedendo ampliata la platea di persone interessate alla filosofia/filosofIA.

Come che sarà, è bene quantomeno avviare qualche esercizio preparatorio, quasi una forma di vaccinazione pre-epidemica, cominciando a familiarizzare con la perdita dell’aura di sacralità propria dell’opera filosofica.

(***SPOILER ALERT*** Forse finirà come con Robert: in un mondo ormai dominato da cantanti-robot, si camuffa anche lui come tale per poter calcare i palchi e – quando viene scoperto – diventa l’icona del ritorno al centro della scena dell’elemento umano. Quando anche finissimo per avere soltanto filosofIA, proprio lì la filosofia emergerebbe come vero elemento disruptive).

 

NOTE
1. Cfr. M. Ferraris, Documanità. Filosofia del mondo nuovo, Laterza, Roma-Bari 2021.
[Photo credit Igor Omilaev via Unsplash]

Giacomo Pezzano

Radical Candor, concettofilo, post-ironico

Se avessi un motto, sarebbe qualcosa come: “non conoscere le idee, ma avere idee!”. Faccio il ricercatore all’Università di Torino e negli anni mi sono occupato soprattutto di antropologia filosofica, filosofia critica e ontologia, cercando di tenere insieme il rigore della ricerca e il mordente della comunicazione. Ho scritto – in ordine sparso – post, […]

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