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Tra passato e presente: Seneca e il senso ultimo della felicità

L’epoca moderna sembra aver smarrito il senso più intimo della felicità che sempre più spesso è associata al raggiungimento di obiettivi ambiziosi o al possesso di beni materiali esclusivi. L’essere umano, pervaso dalla frenesia di ricercare ad ogni costo il successo, precipita in un circolo vizioso costantemente alimentato da una società che sembra invogliare alla prevaricazione, alla sfida e al “mostrarsi migliore degli altri”. Ma siamo sicuri che il fine ultimo di questa incessante corsa sia la felicità? C’è un modo per essere soddisfatti senza dover sempre puntare a qualcosa di più grande?

Per provare a rispondere a tali domande viene in nostro soccorso Seneca, che già duemila anni fa circa si ritrovò a dover fare i conti con questioni analoghe. Il filosofo latino, infatti, condusse la sua riflessione a partire dalle possibilità per l’essere umano di raggiungere uno stato di benessere mentale tale da potersi definire felice. La felicità viene posta al centro della riflessione di Seneca che si traduce nella moderna ricerca del piacere erroneamente inserito nella cultura odierna del consumo, che promuove il benessere attraverso l’acquisizione di beni materiali. Tuttavia, nel De Vita Beata Seneca ci ricorda che questa ricerca di felicità esterna spesso ci allontana dal nostro vero io e dalle domande più autentiche sulla vita e sul suo significato.  Il concetto di divertissement, nel suo significato originale di deviazione dalla strada principale, descrive bene il nostro tentativo di sfuggire alle domande più profonde attraverso distrazioni e piaceri superficiali. Seneca ci esorta a rivendicare noi stessi, a guardare dentro di noi e a chiederci cosa veramente desideriamo tralasciando ciò che comunemente viene accettato o condiviso. Sostiene il filosofo «Sforziamoci dunque di vedere e di seguire non i comportamenti più comuni ma cosa sia meglio fare, non ciò che è approvato dal volgo, pessimo interprete della verità, ma ciò che possa condurci alla conquista e al possesso di una durevole felicità» (Seneca, De vita beata, Congedo editore, 2017. p. 56). Dobbiamo interrogarci sulla nostra vera felicità e se stiamo veramente vivendo una vita soddisfacente e autentica. In passato, c’era l’idea che la scienza e la tecnologia avrebbero portato alla felicità umana, rendendoci capaci di soddisfare ogni desiderio, migliorando la nostra salute e semplificando la vita quotidiana (cfr. Colombo G., Il giusto prezzo della felicità, EDUCatt, 2007. p. 74).  Tuttavia, questo progresso ha portato anche ad un consumo costante, dove il desiderio per ciò che non si ha è alimentato dal mercato. I prodotti vengono creati in modo tale da ridurre al minimo il divario tra il desiderio e il possesso, spingendoci costantemente ad acquistare il nuovo e migliorato. Chiunque cerchi di resistere a questo consumo viene influenzato dalla pubblicità e dalla pressione sociale, che sottolinea ciò che si sta perdendo. In questo modo l’uomo si illude di poter incrementare la propria felicità che in tale ottica non può mai raggiungere l’appagamento totale e si innesca una corsa che non avrà mai termine. Proiettati verso ciò che desideriamo e correndo senza freni verso esso, lasciamo brandelli di vita lungo la via distogliendoci dal presente, dalle piccole cose che compongono la nostra esistenza e che a nostra insaputa la rendono meravigliosa.

In epoca moderna risuonano incombenti le parole di Seneca che ci invita a riconsiderare il nostro approccio alla felicità e a guardare al di là delle illusioni create dalle cose materiali. Egli ci esorta a riporre fiducia nel nostro essere interiore anziché cercare la felicità nel possesso di beni materiali. Questa incessante ricerca rappresenta l’irrequietezza pervasiva dei moderni che, citando le parole di Nietzsche, assume le vesti di una malattia che affligge la nostra epoca e che richiede una cura urgente (cfr. Nietzsche, Umano troppo umano, Adelphi, 1962, p. 285). Tale irrequietezza si evolve in una corsa verso il futuro, che ci allontana dalla vita autentica, dalla vera felicità.  Sembriamo aver perso la capacità di cercare e percepire la serenità derivante dal vivere in armonia con la natura, secondo i principi della ragione e della virtù. Questa serenità, non caratterizzata né dall’ambizione di possedere tutto né dalla ricerca della perpetuità, costituiva il fulcro della riflessione etica e politica degli Stoici. Invece di dedicare tempo ed energie alla ricerca di oggetti esterni che presumibilmente ci porteranno gioia, dovremmo concentrarci sullo sviluppo della nostra virtù, saggezza e accettazione di noi stessi. Il vero sentiero verso la felicità è quello che porta alla consapevolezza della nostra interiorità e alla connessione con gli altri attraverso relazioni genuine. Del resto, anche Filosofia dialogando con Boezio tra le mura della prigione, illustra con maestria la precarietà dei beni terreni che illudono gli uomini travestendosi da felicità ma in realtà li allontanano dal vero bene (cfr. Boezio, La consolazione della Filosofia, Città Armoniosa, 1981, p.7).

Seneca ci suggerisce di imparare a vivere in armonia con noi stessi e con il mondo che ci circonda, abbracciando la semplicità e praticando la gratitudine per ciò che già abbiamo. Questo richiede un cambiamento di prospettiva, un abbandono della convinzione che la felicità risieda nelle cose materiali e un abbraccio della consapevolezza che è la nostra interiorità a offrirci una gioia autentica e duratura.

NOTE
[photo credit Lesly Juarez via Unsplash]

 

Antonella Vernacchio
Laureata in Scienze Filosofiche e attualmente borsista di Formazione Avanzata presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli. Sta conseguendo un ulteriore titolo magistrale presso l’Università degli Studi di Perugia, in un percorso interclasse tra filosofia e psicologia, mentre sviluppa un progetto di ricerca per prepararsi al dottorato. La ricerca rappresenta la sua passione più grande, guidandola nella scoperta e nell’approfondimento delle tematiche che la interessano profondamente, cercando di scorgere i legami tra le più grandi teorie filosofiche e psicologiche. 

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