Personaggio complesso e bizzarro, psicanalista, militante politico ed eccentrico pensatore, Félix Guattari è conosciuto principalmente per la sua prolifica collaborazione con il filosofo francese Gilles Deleuze, grazie alla quale vengono alla luce i due volumi di Capitalismo e schizofrenia: L’Anti-Edipo prima, Mille piani poi. Non va però dimenticato che Guattari seppe sviluppare un proprio pensiero filosofico indipendente e una sua opera, in particolare, risulta oggi estremamente attuale. Si tratta de Le tre ecologie, breve saggio risalente al 1989 ma articolato sull’analisi di questioni e problemi che appartengono in pieno anche al nostro tempo, tanto da farlo apparire come un testo, se non premonitore, quantomeno assai lungimirante. In esso il concetto di ecologia viene sviluppato in una chiave totalmente nuova, attraverso lo studio delle interazioni sistemiche tra contesti che solitamente vengono considerati separati fra loro: quello ambientale, sociale e mentale. Secondo Guattari, infatti, non vi può essere alcun progresso politico sul piano della crisi ambientale, se le soluzioni proposte non prendono in considerazione anche le dimensioni sociale e psichica. Scrive infatti Guattari:
«Le formazioni politiche e gli organi esecutivi sembrano totalmente incapaci di cogliere questa problematica [quella della crisi ecologica] nell’insieme delle sue implicazioni. Benché recentemente abbiano iniziato a prendere parzialmente coscienza dei pericoli più visibili che minacciano l’ambiente naturale delle nostre società, in genere si accontentano di affrontare il terreno delle nocività industriali, e ciò unicamente in una prospettiva tecnocratica, mentre soltanto un’articolazione etico-politica – che io chiamo ecosofia – fra i tre registri ecologici (quello dell’ambiente, quello dei rapporti sociali e quello della soggettività) sarebbe capace di far adeguata luce su questi problemi»
F. Guattari, Le tre ecologie, 1989.
Per riuscire a cogliere in modo più completo le indicazioni forniteci da Guattari, proviamo ad analizzare, attraverso i suoi stessi strumenti, una situazione che risulta a noi tutti familiare, ovvero l’attuale pandemia di COVID-19. Essa ci ha colti del tutto impreparati – nonostante alcuni esperti (in una certa misura) la stessero preconizzando da tempo – e ci ha imposto senza clemenza di riconoscere il ruolo politico del non-umano nelle nostre vite: chi si aspettava, infatti, che perfino l’essere più piccolo, a metà tra il regno dei viventi e dei non viventi, potesse riuscire a mettere sottosopra l’intera società ed economia globale? Ci troviamo di fronte a uno dei più chiari esempi di interconnessione tra le tre ecologie, e risulta intellettualmente interessante ma psicologicamente perturbante rendersi conto di quanto Guattari ci avesse azzeccato.
Partiamo dal livello ecologico in senso stretto: è risaputo come sia stata anche l’ingerenza indebita delle attività antropiche sugli habitat naturali a scatenare il cosiddetto spillover dalle specie selvatiche all’essere umano. Si potrebbe aprire una riflessione senza fine sul rapporto di violenza e sfruttamento che abbiamo instaurato con la maggior parte delle altre specie animali, ma accontentiamoci qui di considerare il caso singolo: nei mercati asiatici il traffico di animali vivi, prelevati dal loro ecosistema, ha causato quel salto di specie che ha permesso al virus di transitare senza problemi da loro a noi.
La dimensione socio-culturale del fenomeno costituisce il passaggio direttamente successivo: in un periodo relativamente breve, il virus si è diffuso sull’intero pianeta, facilmente trasportato da viaggiatori e merci, per terra, per aria e per mare. Demonizzare la globalizzazione in sé non ha senso, ma bisogna quantomeno riconoscere che, in questo caso, essa ha esercitato potentemente il suo consueto ruolo di efficace ripetitore dei mali: un fenomeno circoscritto a una dimensione locale si è presto tramutato in un’emergenza planetaria. In breve tempo è stata messa a nudo la debolezza e la scarsa resilienza delle nostre economie internazionali e nazionali, così come delle organizzazioni e delle politiche globali. Al contempo, il ruolo fondamentale giocato dalle telecomunicazioni, in particolare durante il periodo di lockdown, ha dimostrato quanto esse siano ormai indispensabili per la quotidianità delle nostre vite, permettendo di mantenere saldi legami che altrimenti si sarebbero dissolti e creandone di nuovi e originali.
Giungiamo infine al terzo livello di ecologia indicato da Guattari, quello mentale: dal punto di vista della soggettività, la pandemia ha scatenato nuove paure e nuovi tipi di rapporti interpersonali, oltre che un sempre più diffuso senso di impotenza di fronte alle calamità. Se prendere coscienza della fragilità dei nostri sistemi può risultare positivo, in un’epoca di crisi ecologica, possiamo solo augurarci che, oltre all’angoscia, la pandemia abbia fatto scaturire in noi un nuovo senso di comunità e interdipendenza, non solo con gli altri umani ma anche, e in modo ancor più inedito, con gli altri non-umani.
Petra Codato
[Photo credit Guillaume de Germain via Unsplash]