Il 2024 è un anno in cui ben 62 paesi si sono diretti o si dirigeranno alle urne. Al di là dei vincitori, il problema che si pone è sempre lo stesso: la democrazia ne uscirà rinvigorita o indebolita? Considerando l’andamento delle ultime votazioni, non abbiamo molti motivi di sperare in meglio. Il vincitore sarà sempre quel fenomeno che non si schiera ma che si fa portavoce di un malcontento diffuso: l’astensionismo.
Ciò a cui si assiste è un incremento sempre crescente di chi si astiene dal proprio diritto di voto, riconosciuto fondamentale da ogni costituzione per una democrazia che si voglia considerare tale. Il grande trionfo di un regime politico in cui siano tutelati i diritti individuali tramite l’espressione della sovranità sta vivendo una retrocessione. Ci troviamo in un paradosso: nonostante la democrazia venga considerata il miglior sistema politico, gli stessi votanti sono sempre più disillusi da reali possibilità di indirizzarla. La colpa di tutto ciò non è strettamente attribuibile al principio di rappresentanza, che al contrario dovrebbe sostenere il sistema. Poiché i cittadini hanno una vita privata con impegni diversi e non possono dedicarsi interamente alla politica, delegare a qualcuno di fidato il compito di governare è stato visto come vantaggioso per tutti. Una vena aristocratica, come la selezione dei migliori, potrebbe garantire una maggiore democraticità nella tutela degli interessi collettivi.
Ciò che però questo principio ha vissuto negli ultimi decenni è una crescente intersezione di elementi nazionali con elementi sovranazionali. Oggi un governante non può solo badare alle richieste di chi rappresenta, ma deve confrontarsi con ambiti sempre più complessi e intersecati tra loro. Garantire una stabilità statale diventa sempre più saper gestirsi nelle sfere sovranazionali, dedicandosi a questioni che appaiono distanti ai cittadini. Così si diffonde una stanchezza democratica: pur cercando di mantenere stabilità ai livelli alti, i politici minano la loro credibilità verso il basso. La conseguenza ricade sullo stesso principio di rappresentanza: una platea muta politicamente, non rientrerà neanche nelle schiere dell’opposizione. Assistiamo a una recisione tra stato e società civile, con il pericolo di arrivare a parlare non più di cittadini e di politici ma di isolati e burocrati.
Per trovare una soluzione, potremmo volgere lo sguardo al passato, verso la polis per eccellenza dove è nata la democrazia: Atene. Il sistema ateniese era molto diverso dal nostro, al punto che ci si potrebbe chiedere come possiamo ancora definirci democratici: tutti i cittadini avevano voce politica nell’assemblea. Contro il professionismo, tutti potevano dedicarsi al bene comune, esprimendo liberamente le proprie opinioni sulle questioni. Anche la selezione dei magistrati seguiva una logica di uguaglianza: l’estrazione. In questo modo, ognuno poteva essere sia governato che governante, acquisendo così due diversi punti di vista. Lo stato e la società civile si compenetravano, senza una reale divisione.
Riproporre oggi tale sistema è impossibile, vista la complessità con cui un rappresentante contemporaneo deve confrontarsi. Tuttavia, è possibile ripensarlo in termini nuovi, per cercare di ricucire lo strappo tra società civile e stato. Seguendo le orme del filosofo Van Reybrouck, autore di Contro le elezioni, il sorteggio trova posto nella democrazia deliberativa. Affinché i cittadini siano pienamente consapevoli di chi scelgono, occorre creare un luogo di dialogo che permetta un confronto costruttivo con i candidati. Proprio il sorteggio può consentire di avere magistrati del popolo che si confrontano con l’assemblea elettiva. I sorteggiati, proprio in virtù del loro radicamento nell’ambiente civile e della loro scarsa conoscenza burocratica, potrebbero offrire ai governanti nuovi punti di vista che, dall’alto della loro posizione, difficilmente considererebbero.
Il cambiamento richiede di mettere da parte la sfiducia reciproca: una società civile che non faccia a meno dello stato e uno stato che non disdegni la società civile. Per quanto riguarda l’assemblea generale, il ripensamento dei media tradizionali diventa fondamentale. Servirebbe un impegno istituzionale per porre fine alla spettacolarizzazione della politica, offrendo programmi costruttivi. Diventa imperativo dare spazio alla costruzione di una cittadinanza consapevole. I cittadini non sarebbero chiamati ad agire in prima linea, ma ritroverebbero un senso nelle loro opinioni, che non troverebbero solo legittimazione in slogan di cui sfugge il significato sottostante.
Nonostante tra noi e Atene ci siano più di 2000 anni di distanza, potremmo essere più vicini di quanto sembri. Se l’obiettivo degli ateniesi era mettere al centro il cittadino, oggi possiamo riproporlo. Non occorre stravolgere tutto il sistema politico, bastano piccoli accorgimenti, grandi abbastanza da portare un reale cambiamento. Il futuro, così come per il passato, della democrazia si fonda sui suoi diretti interessati.
NOTE
[Photocredit Leonhard via Pixabay]