Qualche volta – quando esco a camminare e guardando l’orologio mi accorgo di stare percorrendo, proprio in quel momento, il medesimo tratto di strada della volta precedente – mi sobbalza alla mente, istantaneo come un lampo, Immanuel Kant. Mi torna alla memoria, infatti, la regolarità della sua passeggiata. Una regolarità famosa perché gli abitanti della sua città – se è vero come si racconta – erano soliti sincronizzare, in base a essa, il tempo dei loro orologi.
Ora, sebbene questo curioso dettaglio ci possa far pensare a una personalità ordinaria perché metodica, in realtà il carattere di Kant è tutt’altro che scontato e la sua riflessione filosofica non è per nulla facile da comprendere, soprattutto per noi che viviamo in un tempo ben lontano dal Settecento. Proviamo quindi ad accennare brevemente a qualche notizia riguardo questo pensatore per poi ipotizzare cosa Kant ci avrebbe senz’altro detto se lo avessimo incontrato a Königsberg in una delle sue quotidiane passeggiate.
Kant era uno studioso e un professore universitario. L’oggetto principale della sua indagine era la ragione che egli, in armonia con la vivace e battagliera cultura illuministica del suo tempo, concepiva come la facoltà fondamentale più utile all’umanità. Ma, a differenza degli intellettuali illuministi, era preoccupato di definire i limiti della validità della ragione perché sebbene la ragione ci è giovevole e proficua, non solo la sua logica tende a oltrepassare il limite dell’esperienza, ma anche la sua volontà tende a non svincolarsi facilmente dal limite della sensibilità. Sicché con Kant abbiamo il privilegio di partecipare a una formulazione sottile quanto davvero insolita della nostra stessa ragione.
Se avessimo, quindi, incontrato Kant lungo le vie del suo quartiere egli ci avrebbe sicuramente detto, oltre all’ora esatta, di fare attenzione a padroneggiare la ragione con la ragione. Raccomandazione dalla praticità forse un po’ oscura ma che indica il compito, universalmente umano, della possibilità intrinseca della ragione di una sua razionale auto-riflessione. Questa considerazione, che ci invita a pensare allo spazio della nostra introspezione come allo spazio della nostra libertà può rivelare tutta l’inadeguatezza di una rappresentazione della mente che la vincola a funzionare come un potente e meccanico calcolatore in cui entrano input ed escono output. Se è vero che il pensiero elabora dati è pur vero che quando ha la consapevolezza di farlo ha anche la capacità di muoversi intenzionalmente sulle proprie connessioni. Il che vuol dire che la ragione ci consente una dinamicità mentale che è agita dalla nostra stessa volontà.
Pertanto pensiamo veramente quando avvertiamo in noi una particolare spinta a voler cercare una strada piuttosto che un’altra. Se diversamente, non stiamo ancora esercitando pienamente il potenziale del nostro pensiero, il quale assomiglia di più a un immenso universo stellato che a un bel computer sofisticato.
Forse Kant con le sue celebri parole «il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me» (I. Kant, Critica della ragion pratica, Laterza, 1976, p. 197) voleva proprio alludere a una posizione speculare tra l’infinità del cielo e l’infinità della mente. Se è vero che per Kant la ragione umana è limitata dalla sua struttura mentale a poter conoscere la realtà così come si dà a noi e non nella sua indipendenza dal modo universale con cui tutte e tutti come esseri umani la sperimentiamo, essa ha anche sempre, in relazione all’agire morale, la possibilità di ergersi a legislatrice autonoma di sé stessa. Sicché, se da un lato, le forme a priori dello spazio e del tempo, insieme alle categorie dell’intelletto e alle idee della ragione, in senso stretto, testimoniano la presenza di un filtrouniversale nella mente, dall’altro lato, l’imperativo morale kantiano del dovere per il dovere implica la traccia di un incondizionato nella ragione poiché essa scopre, nella sua auto-legislazione, la sua illimitata potenzialità di divaricarsi sempre di più. Perciò con Kant la metafisica, ovvero ciò che prescinde (nel caso della conoscenza) o può prescindere (nel caso dell’agire morale) dall’esperienza sensibile, irrompe con disinvolta discrezione nella mente che così diventa il fulcro di uno sguardo metafisico sulla natura così come sulla nostra vita.
Per questo l’eccezionale Kant può invitarci a paragonare la riflessione razionale a una imperdibile passeggiata metafisica lungo la via della conoscenza così come lungo la strada della nostra vita. L’universalità del nostro modo di conoscere rende sicuro, condivisibile, il nostro passo nell’immensità ignota del sapere. L’autonomia della volontà razionale fortifica la nostra libertà a dispetto delle più ardue difficoltà. E a permetterci tutto questo è qualcosa che non appartiene all’esperienza: è la metafisica ed è nella mente di ciascuna e ciascuno di noi.
NOTE
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