“Virginia non vede che qualunque museo del mondo è pieno di opere d’arte ispirate da questo impulso primario? La migliore letteratura, la musica più coinvolgente. Lo studio del sesso è in realtà lo studio del principio di tutto, della vita stessa […] Invece noi ci rannicchiamo nell’oscurità come gli uomini delle caverne, schiavi del senso di colpa e della vergogna. “
Queste le parole di William Masters, sessuologo e ginecologo statunitense, che, insieme alla psicologa Virginia Johnson, diede alla luce il primo studio sulla fisiologia sessuale umana e portò con il volume : “L’atto sessuale nell’uomo e nella donna” del 1966 non pochi sconvolgimenti nell’ America della contestazione.
Lo spettacolo che mette in scena l’uomo per quello che di animale ancora conserva, la piena espressione della consistenza corporea delle nostre membra, il sesso insomma è stato ricoperto di un velo di ignoto fin dai tempi antichi, come se l’uomo avesse cercato di nascondere a se stesso di avere un corpo.
Mi ha sempre lasciato basita la contraddizione che anima l’antica Grecia: celebrò l’armonia e la perfezione del corpo umano esponendone la nudità su bianchi blocchi marmorei e allo stesso tempo diede i natali al padre della filosofia occidentale(che è stata fondamentalmente ascetica).
Platone infatti scindendo l’essere sovrasensibile, immateriale dalla sua copia imperfetta materiale e sensibile, introdusse un dualismo destinato ad avere delle forti ripercussioni sull’essere umano. L’uomo è anima e corpo, ma i due elementi non convivono in perfetta armonia, il corpo è “tomba” dell’anima. Le nostre membra sono l’ostacolo che impedisce all’anima di fruire del bello in sè, sono motivo di disperazione, di continua tensione perchè portano l’anima ad indugiare di fronte alla bellezza terrena. L’abilità dell’essere umano invece consiste nel rintracciare il segnale del bello in sè nel mondo in cui vive, nel prescindere da ciò che è materiale e rivolgersi verso l’Assoluto.
“In neo iniziato, quello che fa parte di coloro che allora hanno contemplato molto, qualora scorga un volto simile ad un dio, che imiti bene la bellezza o qualunque forma di corpo, subito ha un brivido e qualcosa dei timori di allora si insinua in lui[…] Al vederlo, poi, come accade dopo un brivido, lo prende un cambiamento e un sudore e un calore strano; poichè, avendo ricevuto attraverso gli occhi l’effluvio della bellezza, egli si riscalda dove la natura dell’ala si rianima.”
Platone, Fedro
Ad intraprendere una vera e propria “lotta contro la carne” ed estremizzare il dualismo platonico ci pensò invece il Cristianesimo, che pose il vero essere nel Regno dei Cieli e condannò ogni singolo uomo a vivere una vita di rinunce e mortificazione per poter guadagnare così l’ingresso privilegiato in Paradiso. L’uomo guardando il suo corpo scorgeva le tracce del peccato originale e ne provava una tale vergogna da costringersi a lunghi digiuni, astinenza da ogni tipo di piacere carnale, sperando così di liberarsi dall’ insopportabile gravosità delle sue membra. Ad uno sguardo più attento però non può sfuggire il profondo legame che il messaggio cristiano intrattiene con il corpo umano: Gesù è Dio che si fa corpo per rivelare il suo amore al genere umano. Gesù sopporta il dolore fisico della crocifissione perchè è l’unica via per poter risorgere. Gesù ciba i discepoli del suo corpo e dà loro da bere il suo sangue. Non si può nascondere che il cristianesimo fu una religione per gli uomini e in quanto tale non potè prescindere da una dimensione fondamentale dell’essere umano quale il suo corpo, ma il tempo e le istituzioni che si andavano creando attorno al messaggio cristiano oscurarono questa verità credendo di migliorare l’uomo quando in realtà non fecero che indebolirlo.
La storia della filosofia occidentale proseguì lungo la strada dello svilimento del corpo e l’esaltazione della sua componente razionale finchè non sopraggiunse Friedrich Nietzsche che a “colpi di martello” procedette alla distruzione delle false credenze che avevano dominato le menti degli uomini prima di lui. Dichiarò guerra a Socrate e a Platone che con il loro atteggiamento negativo nei confronti della vita, del cambiamento, del divenire avevano decretato il decadimento dell’originale elemento greco, fatto di danze sfrenate, musica e ribollire di passione ed avevano portato alla tirannia della ragione. La filosofia aveva per lungo tempo frainteso il corpo, non comprendendone la rilevanza: è il filo conduttore che ci guida nella totalità del nostro essere umano.
Il corpo nel pieno della propria forza aveva così tanto intimorito gli uomini perchè imprevedibile nelle sue mosse, che ci pensò la religione cristiana a narcotizzarlo. Nietzsche imputa al Cristianesimo di aver depotenziato l’uomo, costringendolo ad una vita di sacrifici e rinunce sulla terra con la vana speranza di ottenere la salvezza eterna; Dio si rivelò nemico della vita. Liberato da queste catene l’uomo è ora in grado di vivere veramente, di dare ascolto all’elemento dionisiaco che pulsa dentro di lui e non rinnegare la sua esistenza mondana, ma anzi, essere fiero di avere radici terrene. L’uomo è diventato Ubermensch (oltreuomo).
Al giorno d’oggi l’essere umano non solo ha un corpo, ma è corpo e, completamente dimentico della sua dimensione spirituale, trascorre ogni singolo istante della sua vita nella ricerca del piacere. Complice il cibo take away, la maestosa sovrabbondanza di ogni genere di prodotti alimentari, le immagini seducenti e colorate che catturano la nostra attenzione mentre sfogliamo il giornale, noi esseri umani oggi siamo diventati
“golosi, avidi, impazienti, vogliamo almeno la pace, se possibile la felicità, comunque il benessere. Le cose ci sembrano brillare del loro potere di appagamento. Quindi noi bramiamo cose. Vogliamo guardarle, toccarle, gustarle, annusarle, ascoltarle…possederle.”
Giulia Sissa, Il piacere e il male. Sesso, droga e filosofia
Siamo diventati totalmente schiavi del corpo, assoggettati ai suoi imperativi, come se cercasse vendetta per gli anni bui in cui è stato schiavizzato dalla ragione e costretto alla rinuncia di ogni tipo di gratificazione. Destinati così ad una condizione di tubi, vuoti condotti che non appena si riempiono, subito si svuotano, nè il cibo, nè il sesso, nè la droga, tantomeno la musica o la danza riusciranno ad esaudire per sempre il nostro desiderio, ma saranno semplici piaceri di passaggio, rimedi contro il grigiore di giornate tra loro identiche. L’uomo vaga sulla terra alla perenne ricerca dell’orgasmo, dell’apice di qualsiasi sensazione e nulla lo sazia appieno; tuttavia mortificare il corpo, incatenarlo e rinchiuderlo in una gabbia perchè razionalmente insensato prestare ascolto ai suoi bisogni non può essere la soluzione. Certamente dando loro ascolto non appagheremo mai la nostra sete perchè una volta terminata la piacevole sensazione di pienezza il nostro corpo ce ne chiederà ancora e ancora e mai riusciremo a saziare il nostro desiderio infinito con codesti piccoli piaceri finiti. Ma possiamo mai immaginare una vita senza il brivido che corre giù per la spina dorsale ogniqualvolta ascoltiamo la nostra canzone preferita? Senza la sudorazione alle mani e la mancanza di respiro che ci travolge quando ammiriamo quell’uomo o quella donna? No grazie. Preferisco vivere una vita da affamata che non provare mai fame.
Valentina Colzera
[immagini tratte da Google Immagini]