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Variazioni sul ciclo di vita di una farfalla

La storia che andrete a leggere, proprio come le precedenti, è di pura invenzione. Questa volta ho scelto però di usare un racconto in prima persona perché è forte nel permetterci di entrare nella storia e nel poterci immedesimare nel personaggio. È difficile credere all’anoressia mentale. Spesso chi la osserva da fuori non riesce a capire il disagio e l’avversione provati verso il cibo. Entrare nel cuore del problema può permetterci di cogliere delle sfumature prima ignorate e di leggere poi la spiegazione più scientifica secondo un’altra ottica.

 Oggi e Venerdì 15 Agosto leggerete i due capitoli della storia.

Capitolo 1: “Da bruco a crisalide”

 “Cara Amica,

ti scrivo per cercare di spiegarti quello che è successo, quello che a parole non riesco mai a dirti. Amica mia, voglio raccontarti la mia storia: la storia di una farfalla talmente leggera da non avere neanche più le ali.

Ci siamo trasferite insieme, in una città così grande come Roma, alla fine del liceo; noi che venivamo da un piccolo paesino di provincia. L’avventura dell’università ci attendeva, una nuova vita era alle porte. Ed eravamo pronte, io almeno credevo di esserlo. Il primo anno è stato emozionante: era un turbinio di novità. Gente nuova, una casa tutta per noi, un ambiente completamente diverso dalla scuola, completamente diverso da dove vivevamo. Eventi, emozioni, sapori, odori, accenti, orari: tutto era estraneo, tutto era nuovo. Era ovvio che dovessimo cambiare anche noi per poterci adattare.

“La vita appartiene ai viventi, e chi vive deve essere preparato ai cambiamenti” scriveva Goethe; a me, però, i cambiamenti non sono mai piaciuti. Cambiare, trasformarsi è come morire: tutto ciò che c’era prima scompare per lasciare spazio al nuovo. Tu pensa alla farfalla. La larva della farfalla, il bruco per intenderci, ha un aspetto completamente diverso da quello dell’insetto adulto; c’è tutta una serie di trasformazioni che portano il bruco a non essere più lui, ad avere una trasformazione radicale. Non sei pronto a cambiare se non sei pronto a morire almeno un po’. E io, pronta, non lo ero. Forse perché dovevo ancora capire chi io fossi prima di poter cambiare.

Il cambiamento mi stava facendo morire un po’, ma non riuscivo a trasformarmi. Non sapevo chi ero, tantomeno in cosa mi sarei trasformata. Da bravo bruco quale ero stavo cambiando pelle e assumendo una nuova muta. Ce la mettevo tutta, ignorando la paura che si faceva sentire nello stomaco, nella schiena, nella testa. Di solito, quando il bruco raggiunge i limiti della sua crescita, cessa di alimentarsi e si mette alla ricerca di un luogo adatto per compiere la sua ultima muta e trasformarsi in crisalide da cui, poi, avrà vita la farfalla. Ecco, io ho fatto proprio questo. È così che mi sono trovata in un limbo in cui mi sembrava che tutto il mondo andasse avanti mentre io rimanevo ferma, impotente. Mi sono sentita sola, nuda e inerme. Sono diventata crisalide. E da brava crisalide ho smesso di alimentarmi.

Non so neanche io come sia cominciata. Ricordo solo che mi guardavo allo specchio e mi vedevo bruttissima. Mi guardavo allo specchio e mi vedevo enorme. Quello specchio che tu, poi, facesti sparire, senza dirmi nulla, senza bisogno di parole. Mi mostravi che anche tu in quello specchio eri diversa da come eri in realtà, era lo specchio che deformava, era lo specchio il problema. Odiavo lo specchio. Il problema erano invece i miei occhi, come mi guardavo. Nello specchio non guardavo più il mio corpo, mi guardavo dentro. E quello che vedevo non mi piaceva. Vedevo una ragazza insicura, incapace. Tutto andava avanti e io rimanevo ferma, rimanevo sempre più indietro. Mi sentivo inadatta. Mi sentivo inadeguata verso tutto e tutti. Perciò mi sentivo grassa e mi vedevo tale. Per me era diventata una certezza, tutto quello che dicevano gli altri non era vero. Le persone mi dicevano che ero magra, ma io mi incazzavo da morire perché per me non era così. Piangevo nei camerini perché i vestiti che avevo preso non mi stavano bene. Certe volte digiunavo per un giorno intero, certe altre non riuscivo a smettere di ingurgitare cibo.

È così che ho intrapreso il mio cammino da crisalide. Tornate a Roma dopo le vacanze di Pasqua mi sono dichiarata rigorosamente a dieta per cui non avremmo più fatto la spesa in comune, ma ognuna per conto proprio. Andai a fare la spesa e fu l’ultima per molto tempo. Ricordo ancora la tua faccia nell’aprire il frigo quel giorno. Eri preoccupata, eri spaventata. Su ogni alimento all’interno del frigo c’erano attaccati dei post-it con sopra le calorie. Rimase tutto lì. Mi ero fissata un tetto massimo di 400 calorie al giorno che potevo ingerire. In realtà, smisi semplicemente di alimentarmi, da brava crisalide. Entrai in un vortice di follia che ancora oggi mi è difficile ricordare chiaramente. Mi gettai a capofitto sullo studio. Studiare mi impegnava e non mi faceva pensare alla fame. Non mi interessava niente di quello che leggevo, serviva solo a distrarmi. Quando non studiavo, camminavo. Dovevo camminare. Dovevo camminare e non dovevo mangiare. La mia testa era capace di pensare solo a questo. Mi spostavo solo a piedi, non prendevo più alcun mezzo di trasposto, non potevo più prendere alcun mezzo di trasporto. Non importava se fuori faceva freddo, o pioveva, o faceva caldo. Io non sentivo più niente, io dovevo camminare. Ho iniziato ad andare in palestra ogni giorno, per almeno 3 ore. A pensarci, amica mia, non so davvero come io facessi a reggermi in piedi. Ma lo dovevo fare. Era una regola. E di regole, in quel periodo, me ne ero imposte davvero tante. Dovevo contare le calorie. Non dovevo mai prendere mezzi di trasporto ma solo camminare. Dovevo andare tutti i giorni in palestra. Non dovevo mangiare. Dovevo stringere continuamente la pancia. Dovevo dire che andava tutto bene. E variazioni sul tema. La mia testa era un continuo contare calorie, pensare al cibo, controllare la fame. Non avevo più altro. Non pensavo più ad altro. Mi sentivo potente. Mi sentivo invincibile. I vestiti hanno cominciato a starmi sempre più larghi, ci stavo riuscendo. In qualcosa, allora, ero brava.

 Sì, ero molto brava ad essere una crisalide, ahimè.”

Giordana De Anna

[Immagini tratte da Google Immagini]

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