La storia che andrete a leggere, proprio come le precedenti, è di pura invenzione. Questa volta ho scelto però di usare un racconto in prima persona perché è forte nel permetterci di entrare nella storia e nel poterci immedesimare nel personaggio. È difficile credere all’anoressia mentale. Spesso chi la osserva da fuori non riesce a capire il disagio e l’avversione provati verso il cibo. Entrare nel cuore del problema può permetterci di cogliere delle sfumature prima ignorate e di leggere poi la spiegazione più scientifica secondo un’altra ottica.
Oggi andrete a leggere il secondo capitolo della storia.
Capitolo 2: “Da crisalide a farfalla: la rinascita”
“Le giornate passavano. In casa ero diventata un fantasma. Non mi accorgevo del tuo sguardo sempre più preoccupato, sempre più spaventato. Ignoravo le tue richieste di uscire insieme. Non ti guardavo più. Non guardavo più nessuno. Non esisteva più nessuno. Esistevo solo io. Esistevo io e quella gabbia di ghiaccio che mi ero costruita. Una gabbia che non mi faceva sentire più niente, non mi faceva vedere più niente. Ho allontanato tutto e tutti.
C’ero solo io, io e la mia impresa.
Al ritorno successivo a casa non vedevo l’ora di pesarmi, perché noi, lì a Roma, non avevamo la bilancia. All’aeroporto ad aspettarmi c’erano i miei genitori. Non dimenticherò mai la loro espressione nel vedermi. Tu li avevi avvisati, questo me lo dicesti molto tempo dopo, ma non era bastato a prepararli alla mia visione. In quel momento mi si strinse il cuore. Per la prima volta dopo tanto tempo provavo qualcosa: provavo un dolore lancinante al petto. Per me non c’era nulla che non andasse. Stavo bene. Mi sentivo però mortificata verso di loro, nel vederli così. Nel viaggio in macchina dall’aeroporto a casa mi era balenata l’idea che a pranzo avrei mangiato, per loro, per farli contenti. Una volta trovatami a tavola, con un piatto di pasta davanti, i miei propositi svanirono. Caddi nel panico più totale. Da una parte volevo mangiare, per loro, dall’altra c’era una voce dentro di me che gridava di non farlo, che sarei diventata grassa, che ero “una buona a nulla”, che ero un’ingorda. Scoppiai in lacrime, dopo il lungo periodo di congelamento a cui mi ero costretta, davanti ad un piatto di pasta con in mano una forchetta, incapace di portarla alla bocca. I due giorni a casa passarono lenti come quando si è all’inferno e tornai a Roma. Ormai però non mi sentivo più così invincibile, non mi sentivo più così potente. Non riuscivo più a dormire, ma ero perennemente stanca. Stare seduta mi faceva male. Stare distesa, anche. Le ossa sfregavano, battevano contro ogni cosa. A volte lo stomaco mi faceva così male da farmi pensare di essere sul punto di morire. Avevo aperto i rubinetti e la voglia di piangere era sempre in agguato. Mi sentivo sola. Non ce la facevo più.
Ormai le mie regole erano un’ossessione.
A queste si era aggiunta il pesarsi. Al ritorno dal week end a casa mi ero portata dietro la bilancia. Passavo l’intera giornata a pesarmi. Non vivevo più. Il mio corpo non reggeva più. Alla fine, chiesi aiuto. E tornai a casa. E tu mi abbracciasti, forte e piano allo stesso tempo, per la paura di farmi male tanto parevo fragile.
“Anoressia mentale” sarebbe stata la diagnosi. Lo sapevo io, lo sapevi tu, lo sapevano i miei genitori, non ci voleva un medico. Ma sono partita da qui per trasformarmi da crisalide in farfalla. È stata la salita più dura della mia vita, ma le mie ali adesso sono forti, sono grandi, sono davvero belle.
Adesso viviamo insieme, ancora a Roma. E ogni tanto tu ancora mi controlli, benevolmente. Ma lo vedi anche tu, i miei occhi non sono più spenti, non sono più vuoti. Ce l’ho fatta. Sono riuscita a morire per rinascere.
Il cambiamento: a volte è lento e insidioso, a volte ti colpisce in faccia con tutta la sua violenza, altre volte giri l’angolo e scopri di essere diversa in una piccola parte di te e il mondo non ti sembra più lo stesso. Adesso lo so, è l’assenza di cambiamento che fa male, è l’assenza di cambiamento che porta alla malattia, è il cambiamento che ci dà la forza di reagire.
Le mie ali sono fatte della forza usata per superare le mie debolezze. Volevo essere leggera come una foglia, ma sono diventata forte come un albero.”
I disturbi dell’alimentazione sono un problema diffuso nel nostro Paese. Le informazioni fornite dai media e da alcuni pseudo esperti sulle cause dei disturbi dell’alimentazione sono spesso non corrette e prive di una solida base scientifica. Affermazioni che troppo spesso si sentono dire sono: “È un problema che nasce da un cattivo rapporto con i genitori o con la mamma”; “È dovuto alla pressione sulla magrezza esercitata dai media e dal mondo della moda”; “È una scelta personale”; “È una richiesta d’aiuto o una forma di protesta”; “È un bisogno di affetto non soddisfatto”; “È il desiderio di diventare belle come modelle”. La diffusione di informazioni inadeguate, generando confusione e false credenze, spesso impedisce di affrontare in modo adeguato il problema. Non si conoscono ancora bene le cause dei disturbi dell’alimentazione. I dati derivati dalla ricerca più recente sembrano indicare che derivino dalla combinazione di predisposizione genetica e fattori di rischio ambientali. Purtroppo, non si sa ancora nulla sui processi causali individuali coinvolti e su come i fattori genetici interagiscano con quelli ambientali.
I disturbi dell’alimentazione sono il frutto di un problema psicologico, un problema che ha un impatto profondo non soltanto su chi ne è affetto, ma anche sulle persone che vivono e si prendono cura di coloro che ne soffrono. È fondamentale comprendere che chi ne soffre ha scarso controllo sulla sua condizione psicologica e che deve essere aiutato per riuscire a sconfiggerla. Aiutare a sconfiggere un problema grave come il disturbo dell’alimentazione significa combattere contro un problema psicologico che non rende più liberi di scegliere.
L’eccessiva valutazione del peso, della forma del corpo e del controllo dell’alimentazione rappresenta il problema psicologico centrale dei disturbi dell’alimentazione. Mentre le persone si valutano generalmente in base alla percezione delle loro prestazioni in una varietà di domini della loro vita, quelle affette dal disturbo dell’alimentazione si valutano in modo esclusivo o predominante in base al controllo che riescono a esercitare sul peso o sulla forma del corpo o sull’alimentazione.
Parliamo di disturbi dell’alimentazione, ma parliamone in maniera costruttiva, per aiutare chi ne soffre ad uscire dalla gabbia in cui è prigioniero.
Giordana De Anna
[Immagini tratte da Google Immagini]