Ciò che mi ha sempre attratto di Magritte e delle sue opere sono i volti nascosti che sembrano far trasparire paura dell’alterità e del viso altrui, che viene spesso coperto da vari oggetti, per esempio da veli, oppure non rappresentato perché il soggetto è di schiena. Tra ciò che più copre i visi nelle sue opere c’è il velo bianco, che compare quasi in maniera ossessiva.
Nei due dipinti Gli amanti del 1928, Magritte rappresenta due figure con il volto nascosto proprio da questo velo bianco, probabilmente a ricordare il suicidio della madre, che è stata ritrovata coperta da esso. Questo velo non svela nulla, nessuno sguardo, nessuna fragilità, e rende i personaggi più distanti, quasi eterei, in una dimensione di sogno o di irrealtà. Suscita una sensazione di inquietudine perché i due amanti sono impossibilitati nella loro scelta e nella loro conoscenza. Sono costretti a tenere questo velo e non possono vedersi: non possono guardare il volto dell’altro e non possono dunque nemmeno conoscerlo. Devono vivere un conflitto tra visibile e non visibile, conoscibile e non conoscibile; un conflitto che lacera la relazione. Senza alcuna espressività e senza alcun tocco, i due amanti tentano di amarsi, tentano di baciarsi, danno voce a un amore che però ci sembra destinato a rimanere muto. Il suo essere muto ci attira, perché ci interessa ciò che è nascosto e lontano.
Le interpretazioni date sono numerose: mi convince maggiormente quella che mi sembra ben allinearsi alla filosofia del pittore, ovvero quella che evidenzia l’impossibilità di conoscere non solo la realtà, non solo la pipa che viene dipinta, ma anche le persone con cui ci relazioniamo. Il velo impedisce di conoscere la vera identità dell’altro e questo non ci deve stupire perché siamo spesso impossibilitati anche a conoscere la nostra identità, come si può osservare nel quadro La reproduction interdite. L’interiorità altrui, e per alcuni tratti anche la nostra, non potrà mai essere totalmente conosciuta, ma ci sfuggirà sempre per una sua qualche sfumatura e, soprattutto, sarà sempre filtrata attraverso la nostra esperienza. L’altro è sempre uno, nessuno e centomila, e conoscerlo a pieno è impossibile.
In generale, le opere di Magritte ci portano a riflettere sul nostro vedere e percepire il mondo, mai esaustivo perché, come abbiamo già detto, non solo nessuna persona, ma anche nessun oggetto può essere conosciuto nella sua totalità. Rimarrà sempre inafferrabile ciò che lui dipinge: lo sono sia la pipa sia il volto dei due Amanti.
Con questa riflessione, Magritte è vicino a Socrate: esattamente come la torpedine marina, per usare l’immagine platonica del Menone, essi ci intorpidiscono perché sono intorpiditi a loro volta, fanno sorgere in noi dei dubbi perché loro stessi li hanno, ci trascinano nei meandri perché loro ci sono già giunti. Entrambi vogliono disilluderci: Socrate vuole eliminare l’illusione della nostra mente, Magritte dei nostri occhi. E perché saremmo noi ingenui e illusi? Perché la nostra mente è convinta di sapere, di aver finito la ricerca e di avere raggiunto una o più verità, eppure Socrate ci dimostra che la ricerca della conoscenza è senza fine. Lo siamo, inoltre, perché i nostri occhi sono convinti di poter cogliere immediatamente la realtà, eppure le nostre percezioni automatiche si rivelano erronee. Entrambi pervadono chi sta dall’altra parte delle domande ma non forniscono risposte perché non solo non vogliono, ma non possono. Entrambi sanno di non sapere, di non avere verità da svelare sul mondo. Entrambi sanno che la realtà ha un velo di inconoscibilità che non può essere squarciato.
Il velo, dunque, può essere una condanna sia nella realtà che nella dimensione più piccola delle relazioni. Potremo togliere il velo e svelare il volto dell’altro? O rimarrà sempre un velo, anche non materiale, a impedirci di conoscere? La risposta di Magritte la conosciamo, ora è tempo di articolare la nostra.
[Photo credit Ian Keefe via Unsplash]