La società attuale segue una profondità dinamicità interna: ogni attimo diventa essenziale per poter cogliere le migliori occasioni, altrimenti si rischia di rimanere indietro. Il presente è più vivo che mai, ma risulta difficile poterlo afferrare: ciò che ieri era il meglio, oggi rischia di non esserlo più e l’indomani offre sempre novità imprevedibili. Ecco che l’immagine di ciascun soggetto difficilmente ottiene un punto di appoggio su cui costruirsi. Per tentare di rimanere a galla, si ricerca questa àncora nell’accettazione dagli altri: mostrarsi parte integrata in questa dinamicità. Questo stile di vita però rischia di disperdere ciò che rende davvero umano: importa solo l’apparenza, la soggettività passa in secondo piano, portando alla anonimità. È possibile trovare un punto di appoggio diverso che possa riportare se stessi al centro?
Lo scrittore Joseph Campbell, nella sua redatta antologia di conferenze Percorsi di Felicità (2004), propone un punto fermo, non da cercare all’esterno, ma da ricercare in se stessi. Questo è raggiungibile solo se si esce dallo stato di sonnolenza, favorito dall’adeguamento sociale, per poter concepire un nuovo senso di cosa significa essere umani. Per giungere a ciò, Campbell propone di riportare in auge una prospettiva che al giorno d’oggi non ha molta considerazione nel mondo occidentale: la mitologia.
La mitologia ha sempre avuto un ruolo centrale nella esistenza umana: costruire un significato che intrecciasse ogni cosa. Nel corso dei secoli il suo nucleo è sempre rimasto invariato; non è un caso che in ogni civiltà si ritrovino miti che cercano di offrire una spiegazione in cui ogni cosa ha un preciso scopo, e in cui si intessono le leggi da rispettare per garantire un equilibrio generale. La sua finalità ultima era quella di costruire un modello attraverso cui l’uomo potesse scoprire il suo ruolo nel mondo. Non si tratta tanto di aderire ad una prospettiva teologica, quanto piuttosto di formarsi come esseri umani, grazie alla funzione pedagogica che può ancora dare un valore tutto da gustare e da sfruttare.
Quello che infatti oggi sfugge, riguarda il profondo legame tra natura umana e mitologia: i racconti mitici non sono nulla di estraneo all’esistenza, quanto proiezioni dell’inconscio collettivo. Campbell propone una visione secondo cui ogni mitologia propone modelli come esempio, in cui i protagonisti fuggono dal ruolo impostogli per poter arrivare a essere se stessi. Ognuna di queste mitologie presenta il tentativo di connettere l’uomo con la propria dimensione interiore di umanità, testimonianza è la presenza di un filo conduttore comune: il viaggio dell’eroe. Questo è caratterizzato dalla presenza di un singolo che decide di andare incontro a ogni sfida, ad ogni pericolo, per poter tornare trionfante nella sua terra, profondamente cambiato.
È possibile costruire un parallelismo con la vita quotidiana: ogni sfida riguarda un confronto con sé stessi affinché ci si possa ricostruire pezzo dopo pezzo, liberi da ogni catena. L’eroe è ciascuno di noi che si avvale delle sue risorse per poter trovare la propria felicità, una connessione profonda con la sua interiorità. La strada di questo viaggio non è battuta: non esiste un sentiero preimpostato. Ciascuno deve avventurarsi da solo, ognuno possiede una soggettività irriducibile a cui nessun’altro ha accesso.
«Noi entriamo nella “selva oscura” dal punto più buio, dove non ci sono sentieri. Dove c’è un sentiero o una strada, è il sentiero di qualcun altro; ogni essere umano è un fenomeno unico. L’idea è di trovare il proprio percorso verso la felicità» (J. Campbell, Percorsi di felicità, 2004).
La propria soggettività richiede di essere ascoltata: solo ognuno può fare i conti con sé stesso. L’intero percorso è solcato da rischi, più di una volta la tentazione di tornare indietro si farà sentire, ma anche solo la possibilità di gustare una felicità autentica permette di non demordere:
«Ripetutamente siamo chiamati al regno dell’avventura, verso nuovi orizzonti. Ogni volta si presenta lo stesso problema: rischio? E se si rischia, ci sono pericoli e aiuti, realizzazione e fallimento. La possibilità di fare fiasco c’è sempre. Ma c’è anche la possibilità della felicità» (ivi).
Questa funzione pedagogica del mito oggi viene applicata in modo diverso: si ricerca la strada non nell’ascoltare gli altri, come nella tradizione orale mitica, ma in uno spazio privato grazie alla lettura. La narrativa risulta svolgere lo stesso compito: diversi autori offrono spunti di vita entro cui ognuno può ritrovare affinità con sé. Il libro diventa il miglior alleato di ciascuno di noi, uno strumento da usufruire per aiutare ad imboccare quella strada nella ‘selva oscura’.
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