Quando penso a Freya Stark me la vedo ottantenne a bordo della sua spider gialla mentre sfreccia per le stradine del borgo di Asolo, incurante di cartelli e sensi unici, un po’ come avrebbe guidato una jeep nel deserto. Oppure la immagino in groppa ad un asino intenta a raggiungere la cosiddetta “Valle degli assassini” scortata da una sconosciuta guida locale. Però poi la immagino anche a Villa Freya, nella sua Asolo, intenta a cucire, oppure avvolta in una coperta ricamata e sistemata nella poltrona del suo giardino di rose mentre sorseggia un tè. Me la figuro seduta al suo scrittoio circolare, personalmente progettato, mentre scrive lettere diplomatiche al governo inglese o lettere affettuose alle amiche della sua lunga vita.
Quello che amo di Freya Stark è il fatto che è una donna che agli albori degli anni Trenta del Novecento ha fatto cose considerate “non da donna”; quello che amo di lei dunque è il fatto che da almeno un secolo sia in grado di dare uno schiaffo sonoro agli stereotipi di genere.
Le pubblicità che passano per la televisione, le copertine delle riviste, sino ai commenti riscontrabili nei vari social network rendono molto evidente un fatto: non si parla ancora mai abbastanza degli stereotipi che colpiscono invariabilmente ed inevitabilmente le donne (e di riflesso anche gli uomini). Per questo ritengo apprezzabile mettere in luce tutti i grandi esempi di emancipazione femminile che la storia ci ha regalato: molti, molti di più rispetto ai pochi nomi che si conoscono.
Ancora ragazzina infatti Freya Stark ha rifiutato un matrimonio combinato e ha voluto studiare, soprattutto la storia e le lingue: erano circa gli anni Venti e da allora di lingue ne ha imparate una decina! Ha deciso poi di avviare un’attività (si occupava di commercio di fiori) e di operare alcuni investimenti (azzeccati), ma solo per mettere da parte qualcosa per la madre Flora: lei non poteva rimanere ferma per sempre! La sua sete di conoscenza infatti l’ha portata ad esplorare luoghi molto lontani e solo parzialmente toccati dalla cosiddetta “civiltà occidentale” o addirittura mai esplorati, di conseguenza costruendosi le mappe da sé; con la sua penna e la sua macchina fotografica ha contribuito alla nascita del travel writing e ha portato la Siria, il Tigri e l’Eufrate, la valle degli Assassini e tanti altri luoghi nelle case e nelle librerie di tutta Europa. E forse ancora leggendo queste parole non ce ne rendiamo conto: si era alla metà dello scorso secolo, molto, molto prima di Instagram e dei blog di viaggio, e lei era lì, sola in luoghi incontaminati e spesso pericolosi, protetta dalla sua forza di spirito, dalla sua esperienza acquisita come viaggiatrice ma anche di infermiera, la conoscenza delle lingue, ma anche con una certa fiducia nell’aiuto della Provvidenza verso viaggiatori come lei, tutto sommato definibili davvero “sconsiderati”.
In barba alle donne troppo deboli. Freya Stark non smette mai di farci riflettere sul mondo in cui viviamo e ciò che siamo. In una lettera scrisse che «Per viaggiare bisogna essere soli: se si va con qualcun altro tutto finisce in chiacchiere»: lo trovo molto attuale in un mondo in cui abbiamo paura della solitudine e l’ossessione per le amicizie (indipendentemente dalla loro qualità). Potrei citare molte cose di quello che Freya Stark era, ma quello che mi piace dire è che era una persona straordinaria: non una donna, né una donna che faceva cose da uomo, ma una persona che non ha voluto arrendersi al già dato, al precostruito.
Molti sono i libri attraverso i quali potete conoscere Freya Stark, se lo vorrete, ma quello che vi consiglio per portarvi a casa qualche ricordo di lei è un viaggio nella sua Asolo, incastonata nelle colline trevigiane: il Museo Civico le ha infatti appena dedicato una sezione permanente dove potrete andare a curiosare nei suoi ricordi, ascoltando il suono della sua voce e osservando il suo volto curioso e appassionato. Nell’allestimento rigorosamente bianco potrete scoprire i suoi colori, i suoi oggetti che risaltano: la sua Lettera 22, i cappelli di paglia, le tazzine di porcellana decorate a fiori, il set da cucito, gli strumenti per la cartografia; la mostra è interattiva e si trasforma in un piccolo viaggi in cui il visitatore è invitato a curiosare, così come faceva Freya Stark nel nostro grande mondo. E chissà che la visita vi lasci addosso qualche bella suggestione con cui tornare a casa, magari mettere in discussione gli stereotipi di genere o qualche regola assurda che vi è stata imposta. Oppure per esempio vi potrebbe venire da chiedere a voi stessi quale sia davvero (e per ciascuno di voi) il senso del viaggio: per la nostra Freya era «l’incontro con il meglio della natura umana», e magari anche per noi, ma solo magari, è davvero qualcosa di più che un motivo per aggiornare il profilo di Instagram.
Giorgia Favero
“La stanza di Freya”
Museo Civico di Asolo – sezione permanente
Ideazione e curatela di Anna Maria Orsini
Sabato e domenica h 9.30-12.30 e 15-18
Visite guidate gratuite ogni seconda domenica del mese