In alcuni momenti della vita, a molti di noi capita di fermarsi un istante, voltarsi indietro e osservare il film della propria esistenza sin lì vissuta. Una pellicola che scorre a velocità sostenuta davanti ai propri occhi. Ricordi, emozioni, fatiche, sofferenze, gioie e dolori. Le più diverse situazioni ed esperienze, declinate secondo l’unico ed irripetibile cammino di ognuno. D’improvviso però, lo sguardo si fa triste. La malinconia inizia a prendere il sopravvento sulle altre emozioni e ci inonda come un fiume straripante di sconforto. Tale sentimento non è dettato solamente dal sovvenir alla mente di scene e ricordi negativi, sofferenze o dolori. No. Il più delle volte è dovuto alla percezione nostalgica che quanto abbiamo vissuto se ne sia concretamente andato, sia svanito nel nulla, in una dimensione non più raggiungibile se non attraverso qualche sbiadito e non più certo ricordo. Questo vale anche e soprattutto per quanto abbiamo gioito e quanto di positivo abbiamo vissuto.
Lo psichiatra e filosofo viennese Viktor Emil Frankl, fondatore della Logoterapia e Analisi Esistenziale, sopravvissuto a quattro diversi campi di sterminio nazisti, può aiutarci a rovesciare positivamente questa nostra, umana, tendenza al negativo. Differentemente dall’atteggiamento nichilistico, egli sostiene che se il futuro non esiste perché non ancora accaduto, il passato è ciò che davvero esiste, la vera realtà. Pertanto, ciò che è passato rimane fisso e immutabile. Non è possibile trasformarlo o modificarlo. Se, per la logoterapia l’uomo è un essere proiettato verso il futuro, è altrettanto vero che egli non può nulla rispetto al proprio passato. Ciò che è stato è fissato per l’eternità. Quanto è avvenuto non è stato tolto di mezzo, ma si è consolidato nel passato e in esso conservato. Per questo egli afferma che: “esser stati è la ‘più sicura’ forma dell’essere […] ciò che si serba nella transitorietà è quanto è conservato nel passato, la realtà che ha trovato salvezza nel suo essere-passata”[1]. Ecco che, ogni possibilità usufruita, ogni esperienza, ogni valore realizzato nella propria vita, escono dalla cerchia della transitorietà e divengono eternità. Frankl sostiene che ciò che viene serbato nel passato resta tale, indipendentemente dalla memoria dei singoli, perché il passato diviene parte dell’essere. Entra a far parte di una dimensione ontologica.
Nei campi di sterminio, com’è intuibile, la sensazione di essere stati cancellati come persone, di aver perso la propria dignità e il proprio passato erano pensieri quotidiani. A questo si aggiungeva la paura, fonte di angoscia e depressione, di aver vissuto invano la vita precedente all’internamento. Frankl racconta di come ha tentato di rassicurare, in merito, i propri compagni di baracca aiutandoli a capovolgere positivamente la propria prospettiva. Scrive:
parlai anche del passato, di tutte le sue gioie e della luce che esso emanava, pur nell’oscurità dei nostri giorni. Citai di nuovo […] il poeta che dice: ‘Quanto hai vissuto, nessuna potenza al mondo può togliertelo’. Ciò che abbiamo realizzato nella pienezza della nostra vita passata, nella sua ricchezza d’esperienza, questa ricchezza interiore, nessuno può sottrarcela. Ma non solo ciò che abbiamo vissuto, anche ciò che abbiamo fatto, ciò che di grande abbiamo pensato e ciò che abbiamo sofferto… Tutto ciò l’abbiamo salvato rendendolo reale, una volta per sempre. E se pure si tratta di un passato, è assicurato per l’eternità![2]
Quanto abbiamo fatto, pensato, amato e sofferto rimane lì, piantato per l’eternità. L’uomo attraverso il proprio passato si unisce con l’eternità dell’essere, o per meglio dire diviene eterno. A chi vive con questa saggezza e con questa consapevolezza esistenziale, ricca del proprio passato, “si può veramente applicare ciò che è così ben espresso nel libro di Giobbe: ‘Te ne andrai alla tomba in piena maturità, come si ammucchia il grano a suo tempo’”[3].
Il pensiero di Frankl può essere un’intensa luce alternativa alla nostra, spesso tragica, visione della transitorietà dell’esistenza. Perché, come scrive Rilke in un verso della Nona Elegia duinese: “questo essere stati una volta, anche se una volta soltanto: essere stati terreni, sembra non revocabile”[4].
NOTE:
[1] V. E. FRANKL, Logoterapia e analisi esistenziale, tr. it. di E. Fizzotti, Brescia, Morcelliana, 19753, p. 123.
[2] V. E. FRANKL, Uno psicologo nei lager, tr. it di N. Schmitz Sipos, Milano, Edizioni Ares, 200113.
[3] V. E. FRANKL, La sfida del significato, a cura di D. Bruzzone e E. Fizzotti, Trento, Erickson, 20053, p. 184.
[4] R. M. RILKE, Elegie Duinesi, tr. it di R. Caruzzi, Trieste, Beit, 2013, p. 89.